Secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i comitati di cui agli artt. 39 e ss. del codice civile costituiscono un autonomo tipo di ente giuridico senza scopo di lucro e sono pertanto iscrivibili al RUNTS, anche ai sensi dell’art. 22 CTS, potendo così acquisire non soltanto la qualifica di enti del terzo settore, ma anche la personalità giuridica di diritto privato.
Con la circolare appena pubblicata, il Ministero competente interviene su un altro nodo sin qui irrisolto della riforma, ovverosia quello dell’iscrivibilità al RUNTS dei comitati e dei possibili effetti riconducibili alla loro iscrizione. La risposta offerta dal Ministero è convincente e ben argomentata. Solido appare l’iter logico-giuridico percorso nell’affrontare questioni, civilistico-sostanziali, indubbiamente complesse. Molto apprezzabili sono altresì sia il coraggio di pronunciarsi su temi che da tempo affannano la dottrina civilistica, nonché di colmare in via interpretativa lacune normative, sia la coerenza mantenuta rispetto a posizioni dal medesimo Ministero precedentemente assunte, e riflesse nel DM 106/2020, in particolar modo con riguardo a come debba interpretarsi il “possono” di cui all’art. 22, comma 1, CTS.
Ma procediamo con ordine.
La prima conclusione cui giunge il Ministero è che i comitati possono iscriversi al RUNTS. Secondo il Ministero, infatti, “si deve considerare pacificamente acclarata (come peraltro risulta da provvedimenti adottati da alcuni uffici del RUNTS) la possibilità che un comitato, privo di personalità giuridica possa essere iscritto al RUNTS”.
I comitati, com’è noto, non sono menzionati tra le forme giuridiche assumibili dagli ETS, ma l’art. 4, comma 1, CTS, ammette alla qualifica di ETS (e dunque all’iscrizione nel RUNTS), oltre alle associazioni e alle fondazioni, anche “gli altri enti di carattere privato diversi dalle società”, purché ovviamente abbiano e rispettino i requisiti di scopo ed attività che caratterizzano gli ETS ai sensi del Codice.
È qui che il Ministero opportunamente richiama, facendovi adesione, la tesi, pacifica, per cui i comitati (indipendentemente dal possesso della personalità giuridica) sono soggetti di diritto, autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive e potenziali titolari di diritti, sia obbligatori che reali. Essendo “enti giuridici”, sono pertanto in linea di principio iscrivibili al RUNTS (la conclusione è coerente con quella alla quale il Ministero è giunto rispetto alla non iscrivibilità dei trust, per difetto, appunto, di soggettività giuridica). Né a tal fine rileva, spiega il Ministero, la loro tendenziale temporaneità, che peraltro non assurge a requisito tipologico, e del resto anche associazioni e fondazioni possono essere costituite per una durata limitata. La non lucratività e l’orientamento altruistico dei comitati sono requisiti tipologici ricavabili dalle apposite disposizioni del codice civile che corroborano la conclusione cui il Ministero perviene.
Rispetto alla sezione del RUNTS nella quale i comitati possono iscriversi, il Ministero non ha dubbi nel concludere nel senso che la loro iscrizione è possibile esclusivamente nella sezione g), quella degli “Altri enti del terzo settore”. Le altre sezioni del RUNTS, infatti, sono aperte esclusivamente a tipi di enti diversi dal comitato, e precisamente, le sezioni ODV, APS e Reti associative alle sole associazioni, la sezione Enti filantropici alle sole associazioni (con personalità giuridica) e fondazioni, la sezione Società di mutuo soccorso agli enti costituiti ai sensi della l. 3818/1886.
Anche se il Ministero non lo dice, l’iscrizione dei comitati sarebbe loro preclusa anche nella sezione “imprese sociali” del Registro delle imprese, e ciò non tanto perché questa forma giuridica sia in linea di principio inammissibile (al contrario, l’art. 1, comma 1, d.lgs. 112/2017, fa riferimento a “tutti gli enti privati”, e dunque potenzialmente anche al comitato, in quanto ente privato), ma perché i comitati si caratterizzano tipologicamente per lo svolgimento di un’attività che non potrebbe mai qualificarsi d’impresa (come invece è richiesto alle imprese sociali). I comitati, infatti, raccolgono fondi da devolvere per un fine determinato (art. 40 c.c.), sicché la loro modalità di azione è redistributiva, erogativa (in questo senso molto vicina a quella che caratterizza gli enti filantropici), ma giammai produttiva ai sensi dell’art. 2082 c.c. Da qui l’impossibilità di configurare un comitato “impresa sociale”.
La terza conclusione cui il Ministero approda è quella per cui l’art. 22 CTS è applicabile ai comitati, ciò da cui derivano due conseguenze:
- i comitati, che ne siano privi, possono acquisire la personalità giuridica ai sensi dell’art. 22 CTS, in sede di loro iscrizione al RUNTS o eventualmente anche in un momento successivo all’iscrizione;
- i comitati che abbiano già personalità giuridica (acquisita ai sensi del d.P.R. 361/2000) dovranno iscriversi al RUNTS ai sensi dell’art. 22, comma 1-bis, CTS.
L’applicabilità dell’art. 22 CTS ai comitati è sostenuta dal Ministero nonostante la norma faccia riferimento letterale, tanto al comma 1 quanto al comma 1-bis, soltanto ad “associazioni e fondazioni”, trascurando dunque gli “altri enti di carattere privato”.
Secondo il Ministero, l’interpretazione sistematica deve condurre però a risultati diversi dall’interpretazione letterale.
Muovendo dal presupposto per cui il procedimento di cui all’art. 22 CTS non è “derogatorio, ma alternativo a quello di cui al D.P.R. n. 361/2000, differenziandosi in ordine ai soggetti ai quali si applica, alle PP.AA. competenti, alle modalità di verifica, ai requisiti patrimoniali, ma soprattutto in ordine al sistema di acquisto della personalità giuridica, basato su una logica diversa da quella tradizionalmente intesa come concessoria”, il Ministero ritiene che sarebbe irragionevole, anche sotto il profilo costituzionale dell’eguaglianza formale, non consentire ai comitati – una volta riconosciuti come possibili forme giuridiche del terzo settore – di avvalersi di questo procedimento, anche perché ciò condurrebbe ad un’irragionevole disparità di trattamento tra comitati privi di personalità giuridica (che potrebbero iscriversi al RUNTS) e comitati (già) muniti di personalità giuridica (che non potrebbero iscriversi al RUNTS, non potendo avvalersi della via tracciata dall’art. 22, comma 1-bis, CTS, così come attuato dall’art. 17 DM 106/2020). È evidente qui l’ulteriore presa di posizione ministeriale sul carattere necessario dell’iscrizione al RUNTS ai sensi dell’art. 22, comma 1-bis, CTS per gli enti che hanno già personalità giuridica. L’impostazione è dunque coerente con gli orientamenti interpretativi precedentemente assunti.
L’applicabilità ai comitati dell’art. 22 CTS comporta che l’intera disciplina di questo articolo è ad essi applicabile. I comitati, pertanto, dovranno fare ricorso ad un notaio che, valutata la conformità a legge dello statuto e la sussistenza del patrimonio minimo sulla base di idonea documentazione contabile:
– formulerà istanza di iscrizione del comitato al RUNTS ai sensi dell’art. 16 DM 106/2020 per ottenere anche la personalità giuridica, oppure
– formulerà, per un comitato già iscritto al RUNTS, istanza di acquisizione della personalità giuridica ai sensi dell’art. 18 DM 106/2020, oppure ancora
– formulerà istanza di iscrizione al RUNTS del comitato (già) con personalità giuridica ai sensi dell’art. 17 DM 106/2020.
Significativo è il fatto che i testé menzionati articoli del DM 106/2020 fanno anch’essi (come l’art. 22 CTS) esclusivo riferimento ad associazioni e fondazioni, eppure anch’essi dovranno ritenersi applicabili ai comitati in virtù dell’interpretazione ministeriale dell’art. 22 CTS.
L’art. 22, comma 4, CTS, tuttavia, contempla due ipotesi riguardo al patrimonio minimo: 15.000 euro per le associazioni e 30.000 euro per le fondazioni. Nulla ovviamente dice riguardo ai comitati. Che farsi?
Il Ministero giunge così alla sua quarta, correlata, conclusione: il patrimonio minimo dei comitati, ai fini di cui all’art. 22 CTS, è pari a quello previsto per le fondazioni, cioè 30.000 euro.
Il Ministero spiega infatti che “la rilevanza, che nell’evoluzione del comitato rispetto al suo momento genetico assume l’elemento patrimoniale, in quanto, nella definizione codicistica dei tratti distintivi di questa fattispecie organizzativa, vengono primariamente in risalto gli aspetti afferenti alla raccolta, gestione, conservazione e destinazione dei fondi, suggerisce di assumere come parametro di riferimento, ai fini dell’individuazione del patrimonio minimo, la soglia di 30.000 euro prevista dall’articolo 22, comma 4 per le fondazioni”.
La conclusione ci convince anche se apre ad una questione di natura più generale: che disciplina si applicherà ai comitati enti del terzo settore? Quella delle associazioni o quella delle fondazioni? Dovranno, ad esempio, i comitati, così come previsto per le fondazioni, avere necessariamente un organo di controllo ai sensi dell’art. 30, comma 1, CTS? Se è la rilevanza primaria del patrimonio a giustificare l’interpretazione dell’art. 22 CTS, può, o meglio deve, il medesimo profilo rilevare ai fini dell’interpretazione dell’art. 30 CTS e del relativo obbligo?
Il diritto del terzo settore è un diritto vivo e dinamico che espone i suoi interpreti a sfide continue, tra cui adesso anche quella della disciplina applicabile ai comitati del terzo settore.