Irap e Terzo settore, l’obiettivo è assicurare la coerenza fiscale

[di Gabriele Sepio e Vincenzo Sisci, pubblicato in «Il Sole 24 Ore» del 27 ottobre 2025]

Con la piena operatività del Titolo X del Codice del Terzo settore a partire dal 2026, il quadro fiscale degli enti del Terzo settore (Ets) entra in una nuova fase. Seppur il placet europeo legittimi i regimi fiscali previsti dalla Riforma del Terzo settore, allo stesso tempo mette in primo piano un nodo ancora da sciogliere: quello dell’Irap.

La ridefinizione dei criteri di commercialità e non commercialità dell’articolo 79 del Cts determinerà per molti enti il passaggio dal regime «commerciale» a quello «non commerciale», con conseguente applicazione del metodo retributivo – vale a dire quello calcolato sull’ammontare del costo della forza lavoro impiegata – per la determinazione dell’imposta.

Un cambio “formale” che, tuttavia, può tradursi in un aggravio concreto: mentre per le società il costo del lavoro è deducibile, per gli enti non commerciali la base imponibile coincide con l’ammontare delle retribuzioni e dei compensi corrisposti.

Il risultato è che proprio gli enti che operano in settori nevralgici come quello sanitario, socio-assistenziale ed educativo rischiano di subire un incremento dell’imposta pur senza un aumento della capacità contributiva. A questa criticità strutturale si aggiunge la disomogeneità territoriale derivante dalla effettiva applicazione dell’articolo 82, comma 8 del Cts, che lascia alle Regioni e alle Province autonome la facoltà di prevedere riduzioni o esenzioni Irap.

Ne viene fuori un “mosaico” di regole diverse: secondo i dati forniti dal Mef, sono ancora poche le amministrazioni virtuose che hanno esteso l’esenzione a tutti gli enti del Terzo settore. È il caso della Valle d’Aosta e della Sicilia.

Un’ ipotesi di esenzione parziale, invece, è quella della Regione Puglia che ha garantito la continuità dell’esenzione Irap a Odv, Aps ed enti filantropici, nonché alle cooperative sociali, escludendo tuttavia le altre sezioni del Runts – in particolare quella residuale particolarmente strategia per molte ex Onlus.

Ci sono poi altre Regioni che si sono limitate a prevedere un’esenzione per le sole Onlus e alcune specifiche categorie di Ets come Aps e Odv (vale a dire Abruzzo, Bolzano). Una frammentazione che crea disparità e contrasta con l’esigenza di uniformità che la Riforma intende fornire.

Le soluzioni da considerare

Ed è proprio in considerazione del quadro normativo tratteggiato che appare quanto mai opportuno provare a ridisegnare le modalità di calcolo della base imponibile Irap per gli Ets in considerazione dell’entrata in vigore dal 2026 dei nuovi criteri dell’articolo 79 del Cts. Un tema, peraltro, affrontato nella delega fiscale che punta a un graduale superamento dell’Irap e su cui ci si è recentemente tornati anche in sede parlamentare, in occasione dell’esame dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 22 luglio 2025 (A.G. 295), in cui le Commissioni competenti di Camera e Senato hanno invitato il Governo a prevedere un intervento correttivo sul fronte Irap.

In tal senso, diverse le soluzioni che potrebbero essere prese in considerazione. Una prima ipotesi potrebbe essere quella di mutuare il regime di favore già previsto, ai fini Irap, per associazioni e società sportive dilettantistiche (articolo 36, comma 6, Dlgs 36/2021) che prevede che i compensi per i collaboratori coordinati e continuativi inferiori a 85mila euro annui non concorrono alla determinazione della base imponibile. Una misura che potrebbe essere adattata al contesto del Terzo settore prevedendo una disposizione ad hoc che escluda dalla base imponibile Irap i compensi e le retribuzioni corrisposti dagli Ets ai soggetti impiegati nelle attività di interesse generale, entro una soglia annua predefinita e uniforme per tutte le tipologie contrattuali.

Alla stessa stregua potrebbe essere valutata una riduzione della base imponibile in considerazione del costo lavoro dei dipendenti. In ogni caso, è evidente che a fronte delle soluzioni che potranno essere approntate dal Governo, l’intervento dovrà avere come finalità principale quella di non creare disparità specie per quelle realtà che passeranno dal metodo ordinario a quello retributivo a causa del mutamento della qualifica.

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