Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è stato chiamato a rispondere ad un articolato quesito sull’adeguamento statutario di associazioni non riconosciute, costituite secondo la forma dell’atto pubblico, alle regole del Codice del Terzo Settore. Si vuole comprendere se, in linea generale, un’associazione non riconosciuta, costituita con atto pubblico, debba ricorrere alla medesima forma dell’atto pubblico per le modifiche statutarie o se, invece, sia sufficiente il verbale di assemblea registrato all’Agenzia delle Entrate. S’intende poi verificare, nel caso di necessario ricorso alla forma dell’atto pubblico, se tale modalità sia obbligatoria anche per le modifiche da apportare in previsione dell’adeguamento statutario al Codice del Terzo settore.
Si tratta, in realtà, di prendere in considerazione non uno, ma due distinti problemi. Il primo riguarda l’esame, in via preliminare, delle modalità da seguire e delle maggioranze da raggiungere per l’adozione della delibera da parte dell’organo deliberativo competente. Il secondo riguarda, invece, la forma stessa dell’atto modificativo (che, in estrema sintesi, si può riassumere nell’alternativa fra atto pubblico e semplice scrittura privata).
Nell’intento di risolvere il primo problema il Ministero ha preso le mosse dal dato normativo e, in particolare, dall’art. 101, c. 2, del Codice del Terzo Settore. Quest’ultima previsione consente di compiere modifiche statutarie, entro diciotto mesi dalla data della piena entrata in vigore del Codice del Terzo Settore, “con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria”. Ciò significa concretamente ammettere, nell’ambito dell’intervallo di tempo fissato dal Legislatore, non soltanto quorum costitutivi e deliberativi non qualificati, ma anche formalità minime e tempistiche ridotte per le convocazioni. Qualora si ecceda il suddetto limite temporale, sarà necessario, invece, il raggiungimento dei quorum solitamente richiesti per le modifiche statutarie ed il rispetto delle modalità stabilite ai fini della validità delle convocazioni assembleari.
Si sottolinea poi la possibilità di ricorrere a “modalità semplificate”, se previste dallo statuto o dal regolamento, nel caso di assemblea ordinaria, mentre, in assenza di differenze significative fra assemblea ordinaria e assemblea finalizzata alle modifiche statutarie, l’associazione sarà tenuta a rispettare sempre le stesse modalità a pena d’invalidità delle sedute.
Nell’affrontare il secondo problema – riguardante specificamente la forma dell’atto modificativo nell’ambito delle associazioni non riconosciute – il Ministero non ha potuto trovare, invece, una risposta espressa nel dato normativo. Non soccorre sicuramente l’art. 101, c. 2, del Codice del Terzo Settore, che, come si è visto, si limita a disciplinare modalità e maggioranze per le deliberazioni assembleari, né le norme del codice civile, ove, come noto, alla netta previsione dell’art. 14, c. 1, sulle associazioni riconosciute [e sulle fondazioni] (“devono essere costituite con atto pubblico”) non corrisponde una altrettanto specifica disposizione sulle associazioni non riconosciute (disciplinate, per quanto riguarda genericamente l’ordinamento interno e l’amministrazione, soltanto dagli accordi tra gli associati ex art. 36, c. 1, cod. civ.).
Trovano pertanto applicazione, secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, i principi civilistici generali di libertà della forma e di conservazione degli atti. Il primo, desunto tradizionalmente dal combinato disposto degli articoli 1325 e 1350 cod. civ., consente d’indicare un atto come validamente formato qualunque sia la forma (cioè la tecnica comunicativa) impiegata per manifestare la volontà delle parti, purché chiaramente si tratti di una tecnica idonea ad un’effettiva comunicazione sociale (e non sia espressamente richiesta una particolare forma dalla legge); il secondo, ricavabile principalmente (ma non solo) dall’art. 1367 cod. civ., comporta l’obbligo di mantenere e (soprattutto) d’interpretare gli atti nel senso in cui possano avere qualche effetto. Si tratta, come noto, di principi che rappresentano l’espressione (più o meno diretta) dell’orientamento e della natura liberale dell’intero sistema giuridico.
Resta ferma chiaramente la possibilità di prevedere deroghe espresse, di matrice legislativa e/o convenzionale, all’applicazione dei suddetti principi generali di libertà della forma degli atti e di conservazione degli stessi. Tali eccezioni possono derivare da leggi “speciali” riguardanti particolari tipologie di enti del Terzo Settore (si richiama, per esempio, la disciplina dell’impresa sociale in forma di associazione ove si richiede, a prescindere dalla personalità giuridica o meno dell’ente, che l’atto costitutivo e le modifiche statutarie siano, ai sensi dell’art. 5, c. 1, del d.lgs. 112/2017, in forma di atto pubblico) oppure da specifici accordi degli associati che, tramite l’atto costitutivo o lo statuto in vigore, abbiano espressamente stabilito la necessità della forma pubblica per le modifiche statutarie.
Non c’è dubbio pertanto che i problemi delle modalità e della forma dell’adeguamento statutario al Codice del Terzo Settore delle associazioni non riconosciute, costituite con atto pubblico, meritassero di esser affrontati distintamente, ma, al contempo, deve rilevarsi come le sollecitazioni poste dal quesito siano state colte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per esporre una visione complessiva sulle modifiche statutarie per adeguare le associazioni non riconosciute alle nuove regole del Codice del Terzo Settore.
Le soluzioni ministeriali – seppure consapevoli, come si è visto, delle diverse problematiche (e delle differenze) fra le varie modifiche statutarie – sembrano dirette, nell’assenza di regole eccezionali di matrice legislativa (e/o chiaramente convenzionale), ad assicurare e ad affermare, ancora una volta, il primato della libera volontà delle parti nell’ambito delle associazioni non riconosciute. Appaiono, infatti, sostanzialmente superate le tradizionali istanze (di certezza giuridica, di controllo di legalità e di tutela nei confronti dei terzi) che possono astrattamente giustificare il ricorso a specifiche modalità di convocazione e di deliberazione dell’organo assembleare nonché all’adozione di forme particolari (come l’atto pubblico) per adeguare lo statuto alle regole del Codice del Terzo settore.