[di Luigi Bobba e Gabriele Sepio, pubblicato su Vita.it del 23 Dicembre 2025]
Il 5 per mille è da sempre un simbolo della partecipazione civica italiana: un gesto semplice, quasi quotidiano, attraverso il quale milioni di contribuenti scelgono di sostenere chi, nel Terzo settore, produce valore sociale, cura, prossimità. È uno di quei meccanismi che raccontano bene come il Paese sappia attivarsi quando viene messo nelle condizioni di farlo. Eppure, negli ultimi anni, proprio questo strumento ha iniziato a mostrare crepe sempre più evidenti. A fronte di un Terzo settore in espansione e di un numero crescente di contribuenti che esprimono una scelta, il Fondo destinato al 5 per mille è rimasto a lungo fermo. Il risultato? Una compressione silenziosa delle risorse: il 5 per mille si è progressivamente ridotto, avvicinandosi per molti enti a un 4 per mille. Un paradosso, se si considera che la partecipazione cresce e le organizzazioni che operano nei territori chiedono risposte sempre più adeguate alle nuove fragilità sociali.
I dati parlano chiaro. Nel 2024 le scelte dei contribuenti hanno superato i 603 milioni di euro, circa 79 milioni in più rispetto alle risorse disponibili. E non si tratta di un episodio isolato: già nel 2023 lo scostamento era stato di 28 milioni. Nel frattempo, gli enti del Terzo settore ammessi al beneficio sono cresciuti dai 50.301 del 2022 ai 68.452 del 2024, con un incremento che riflette la piena entrata a regime del Runts (il Registro unico del Terzo settore). Anche i contribuenti che hanno scelto di destinare il 5 per mille sono aumentati, raggiungendo i 17,9 milioni.
La legge di Bilancio sulla spinta della campagna “5 per mille, ma per davvero”, promossa da VITA) ha scelto di intervenire portando il tetto da 525 a 610 milioni. Un segnale che va nella corretta direzione di allineare la spesa pubblica alle scelte dei cittadini. Ma se questo passo avanti è necessario, non è però sufficiente. La crescita del Terzo settore, il consolidamento del Runts, l’aumento delle firme e delle scelte “espresse” mostrano una tendenza destinata a proseguire anche nei prossimi anni: secondo le stime, il valore complessivo delle destinazioni potrebbe superare i 628 milioni nel 2028. Significa che anche il nuovo tetto è destinato, presto o tardi, a essere superato. E che senza una riforma più strutturale rischiamo di trovarci di nuovo di fronte allo stesso problema: un meccanismo pensato per sostenere gli enti del Terzo settore che invece riduce, anno dopo anno, una parte delle risorse che i cittadini decidono di destinare loro. Per questo, il tema non è più soltanto quello di “alzare il tetto”, ma di ripensare il sistema: immaginare un 5 per mille capace di adeguarsi automaticamente alle scelte dei contribuenti, senza comprimere ciò che viene espresso nella dichiarazione dei redditi. Perché, in fondo, la forza di questo istituto sta proprio lì: nella possibilità per ogni contribuente di orientare una quota delle proprie imposte verso il bene comune, senza che il bilancio pubblico ne tradisca — anche in buona fede — la volontà.
L’impatto del 5 per mille: quanto vale oggi e le prospettive nel futuro
Quando si osserva l’evoluzione del 5 per mille negli ultimi anni, si comprende subito perché l’intervento sul tetto è diventato quantomai inevitabile. Il 5 per mille, nato quasi in sordina nel 2006, ha impiegato pochi anni per trasformarsi in uno degli strumenti più significativi di partecipazione fiscale del nostro Paese. Dopo la fase iniziale, tra il 2010 e il 2019 il numero dei contribuenti che sceglievano di destinare una parte della propria Irpef a favore di attività di interesse generale si è stabilizzato intorno ai 16–17 milioni, come mostra il grafico 1.
Una base ampia, costante che ha garantito continuità allo strumento. La parentesi pandemica ha determinato una evidente flessione tra il 2020 e il 2022, ma la ripresa successiva è stata più che lineare: tra il 2022 e il 2024 il 5 per mille ha registrato un incremento di 1,4 milioni di firmatari, arrivando circa a 18 milioni di contribuenti attivi.