Possiamo permetterci il lusso di lasciare a casa più di 80.000 giovani che vorrebbero fare servizio civile, ma hanno visto la loro richiesta non accolta? La domanda non è né retorica, né oziosa.
80.000 infatti, sono i giovani che, nel 2018 e 2019, volevano fare un anno di servizio civile universale, ma che, per carenza di posti messi a bando, hanno avuto una risposta negativa. Eppure a fronte di un’emergenza sociale di proporzioni inedite (ne ha parlato per primo quasi un mese fa su Vita, Stefano Zamagni), perché non si decide di mobilitare questo “esercito del bene comune”, dispiegandolo per attività e servizi per le persone più fragili, per contrastare il digital divide dei bambini e delle famiglie più povere, per dare continuità all’assistenza delle persone disabili, per fare volontariato nelle mense dei poveri o distribuire cibo e medicinali agli anziani soli?
La Rappresentanza Nazionale dei Volontari in Servizio ha lanciato nei giorni scorsi una proposta concreta e convincente: si approvino subito e tutti insieme i progetti che gli enti accreditati stanno presentando, in modo da far partire negli ultimi mesi dell’anno più di 50.000 volontari in servizio, raddoppiando di fatto i posti oggi disponibili con le risorse attribuite al Fondo nazionale per il servizio civile nel 2020. Il ministro Vincenzo Spadafora qualche impegno lo ha annunciato; serve però, subito la decisione di inserire nel prossimo decreto emergenza Covid 19, le risorse necessarie (circa 130 milioni). Ma gli interrogativi che questa crisi epidemica ci pone, reclamano una risposta di respiro più lungo: far diventare il servizio civile veramente “universale”.
Ricordo che fu proprio Vita a lanciare questa campagna: progressivamente, lo stato recepisca la disponibilità di tutti i giovani che vogliono liberamente optare per il servizio civile. Tale prospettiva richiede risorse finanziare importanti, non annunci roboanti a cui seguono sempre i soliti tagli, come è avvenuto nel bilancio dello Stato negli anni 2019 e 2020. Ma abbiamo altresì bisogno di una visione, di un sogno, di un percorso. Non solo per potere dire SI’ a tutti coloro che vogliono impegnare questo anno in un servizio per la comunità. Ma, prima di tutto per comunicare con quel più del 60% di giovani che non conosce neppure l’esistenza del servizio civile. Qualche giorno fa, ho ricevuto un messaggio da uno di questi giovani che mi ha detto: sì, sono uno di quel 60% che non ha un’idea precisa di cosa sia il servizio civile, ma forse in questo momento così drammatico, bisogna prendere qualche impegno, assumersi una responsabilità. E allora quali passi fare perchè il servizio civile diventi veramente universale?
Primo passo. Accrescere subito le risorse dedicate, perchè se tanti giovani faranno un’esperienza positiva, altrettanti saranno incoraggiati ad intraprendere la stessa strada. È la via del “contagio positivo”: quasi il 90% dei giovani che hanno fatto servizio civile, lo consiglierebbe ad un amico. E allora perchè inseguire la prospettiva dell’obbligatorietà del servizio civile? Capisco le ragioni, ma questa scelta corre il rischio di essere controproducente. Meglio scommettere sui giovani e sulla positività dell’esperienza nella vita delle persone. Ma non basta. Viene il tempo di una copiosa seminagione. Come? Introducendo fin dal prossimo anno scolastico un ‘alternanza scuola/servizio civile. Consentire cioè ai giovani studenti – in particolare durante il periodo estivo – di effettuare un mese di formazione all’impegno volontario e alla responsabilità civica presso un ente del terzo settore, riconoscendo al giovane – come accade per l’alternanza scuola-lavoro – i corrispondenti crediti formativi. Se anche solo nel prossimo anno scolastico 2020/2021, il 10% degli studenti della scuola secondaria e della formazione professionale potessero fruire di tale opportunità, avremmo posto le basi perchè non pochi di questi ragazzi – terminati gli studi – decidano poi liberamente di fare 8/12 mesi di servizio civile.
Come dice Massimo Recalcati, questo è il tempo di piantare la vigna del nostro futuro. Infine, questa crisi ha messo a nudo la difficoltà delle persone a non lasciarsi imprigionare dalle proprie paure ed incertezze. E ci sono molti che, per assorbire queste paure, propugnano la via del capro espiatorio. L’Europa è il candidato numero uno. L’Europa matrigna, l’Europa che ci strangola, che ci mette all’angolo. Anche qui serve respirare aria nuova.
Nella riforma del servizio civile del 2017, c’è un tassello che potrebbe diventare una pietra angolare nella costruzione tra i giovani di una cittadinanza europea. Quale? Rendiamo obbligatoria (o fortemente premiante) la previsione in tutti i progetti di un periodo (2/3 mesi) di servizio civile in un altro paese della UE. Insomma un Erasmus del servizio civile. Come per gli studi universitari, decine di migliaia di giovani potranno così fare esperienza di Europa camminando sui sentieri della solidarietà. Un investimento sull’Europa di domani che vale più di mille vertici e di tanti trattati. Perché non cominciare? Se non ora, quando?
Articolo originariamente pubblicato da: Vita.