[articolo di Gianluca Budano uscito su «Corriere Buone Notizie» di Martedì 27 giugno 2023]
Il Codice unico del Terzo settore, come è ampiamente noto, ha introdotto lo strumento della cooprogrammazione e della cooprogettazione, come possibilità alternativa (e legittima anche secondo la giurisprudenza costituzionale) al codice degli appalti. Per i non addetti ai lavori, si tratta di una collaborazione prevista dalla legge tra PA e Terzo settore (enti iscritti al RUNTS) nella progettazione dei servizi pubblici.
Molti valorizzano tale scelta del legislatore come l’ampliamento dello spazio pubblico voluto dall’articolo 118 u.c. della Costituzione italiana (principio di sussidiarietà orizzontale). Tale prospettiva è corretta, ma priva della vera e sottaciuta ratio della riforma del terzo settore che disciplina, non solo la vita degli Ets ma prima di tutto il rapporto tra Stato e cittadini e con essi l’idea di welfare del nostro Paese.
Il Codice degli appalti se lo sottoponiamo a una verifica di adeguatezza rispetto all’approvvigionamento di servizi sociali da parte delle Pubbliche amministrazioni è palesemente bocciato in fieri, in quanto la standardizzazione che un capitolato speciale di appalto opera (sempre per i non addetti ai lavori, la lista della spesa), è l’esatto contrario di quello che servirebbe a soddisfare la natura del bisogno che un servizio di welfare soddisfa: il bisogno legato a una fragilità è unico, multidimensionale e diverso da “utente” a “utente”, il capitolato speciale di appalto, per definizione, invece massifica, semplifica, prevede a monte, prima che il bisogno sia noto a chi deve prenderlo in carico.
Quella di cui sopra è una banale verità, tanto banale che nessuno ne ha mai denunciato il danno grave che produce agli utenti con servizi non perfettamente calzanti rispetto al bisogno, in costanza di reiterate e predicate dichiarazioni di principio (inattuate) in favore della personalizzazione e individualizzazione dei servizi in forma sartoriale sui beneficiari.
Ma che welfare di precisione è quello che utilizza strumenti di standardizzazione? Ma che differenza c’è, tra welfare e sanità, tale da offrire nel primo caso servizi standardizzati e nel secondo medicina di precisione con innumerevoli specializzazioni in base allo specifico bisogno? Non impattano entrambi sulla carne e le ossa dei cittadini?
La cooprogettazione prevista dal Dlg. 117/2017 è la soluzione giusta per personalizzare le cure e gli interventi nel mondo dei sistemi di erogazione dei servizi di welfare, perché consente di adattare lo strumento di reperimento dei servizi al bisogno delle persone con fragilità, e non viceversa come avviene oggi. Ma è anche la strada per mettere fuori dal tempio i mercanti nei servizi ai più fragili, perchè dove c’è cooprogettazione c’è rendicontazione a costi reali (tanto programmiamo, tanto spendi, tanto ti rimborso), dove c’è appalto c’è invece utile di impresa (al di là del suo formale divieto di distribuzione), tanto utile che il mondo profit ha iniziato ad occuparsene in concorrenza con il terzo settore.
Ma dinanzi a una tesi così lineare e fondata sul primato dell’utente e non da ragioni altre, il terzo settore italiano da che parte sta? La più grande fonte di finanziamento della cooperazione sociale attraverso gli appalti pubblici nel settore del welfare, non è tempo che venga utilizzata bandendo gli appalti, in favore di cooprogettazioni anzitutto per input del terzo settore stesso? E il legislatore non potrebbe decidere l’esclusione dell’applicazione del codice degli appalti nei servizi sociali in favore della obbligatorietà della cooprogettazione come strumento di welfare di precisione? Sarebbe tra l’altro un’occasione unica per separare il grano del terzo settore che rende impresa sociale l’impegno e la cultura del dono, dal loglio di quello che si sforza (elusivamente) a rappresentare l’impegno e la cultura del dono a partire dall’impresa tout court per mere ragioni di interesse speculativo travestito da terzo settore, utilizzando il Dlg. 117/2017 anche in funzione antielusiva.