Amministratore di Sostegno e Terzo Settore: Un’Alleanza per l’Autodeterminazione

[di Avv. Vincenzo Falabella, Consigliere CNEL, Coordinatore Osservatorio Inclusione e Accessibilità, Presidente Fish_Ets]

Il prossimo 25 giugno 2025 alle ore 15, a Roma, presso il CNEL, (Aula Marco Biagi), si terrà un evento di straordinaria rilevanza sociale e giuridica dal titolo “Amministrazione di sostegno e terzo settore: scenari e prospettive“, organizzato dall’Osservatorio Inclusione e Accessibilità in collaborazione con la Fondazione Terzjus ETS. L’iniziativa rappresenta un’occasione unica per riflettere su uno degli istituti più innovativi e al tempo stesso controversi del nostro ordinamento: l’amministratore di sostegno (AdS).

All’evento, moderato dalla responsabile della comunicazione di Terzjus Sara Vinciguerra, parteciperanno alcune delle più autorevoli voci istituzionali del Paese – tra cui il Presidente del CNEL Renato Brunetta, il Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e il Vice Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci. Durante l’evento sarà presentato il Report di ricerca “Terzo settore e Amministrazione di sostegno: questioni scenari e prospettive”, un lavoro rigoroso e atteso, che offre una riflessione approfondita su uno strumento giuridico di grande valore sociale ma ancora poco sfruttato nel suo pieno potenziale.  Discuteranno la proposta: Felice Scalvini, Direttore di Fondazione Ravasi Garzanti e Roberto Speziale, Presidente di ANFFAS e Vicepresidente FISH. A Luigi Bobba, Presidente di Terzjus, e a Vincenzo Falabella, Consigliere CNEL e Coordinatore Osservatorio Inclusione e Accessibilità, il compito di trarre le conclusioni del seminario.

Il report è stato realizzato dalla Fondazione Terzjus su incarico della Fondazione Ravasi Garzanti ed è stato curato dal Prof. Antonio Fici, noto giurista esperto in diritto del Terzo Settore e tematiche sociali, e dal Prof. Mario Renna, studioso con una consolidata esperienza nel campo delle politiche di welfare e inclusione. La loro collaborazione ha garantito un approccio multidisciplinare allo studio, coniugando rigore giuridico e sensibilità sociale. Grazie alla competenza accademica del Prof. Fici e all’esperienza operativa del Prof. Renna, il documento non si limita a una mera analisi normativa, ma offre spunti concreti per migliorare l’applicazione dell’amministrazione di sostegno, con particolare attenzione al ruolo degli enti non profit. La loro firma rappresenta una garanzia di qualità e profondità, assicurando che il Report sia uno strumento utile non solo per gli addetti ai lavori, ma per tutti coloro che credono in un diritto più vicino alle persone.

Lo studio analizza con equilibrio criticità e opportunità, proponendosi come punto di riferimento per istituzioni, operatori del diritto e attori sociali. Attraverso dati, casi concreti e prospettive di riforma, il Report accende i riflettori su un tema delicato, dove la tutela delle persone vulnerabili si intreccia con le sfide applicative e culturali.  Più che un semplice documento, è un invito al dialogo: un’occasione per ripensare l’amministrazione di sostegno non come mero adempimento, ma come leva per l’inclusione e l’autonomia della persona, grazie a una sinergia più stretta tra mondo giuridico e Terzo Settore. La presentazione segnerà il primo passo di un confronto necessario – perché proteggere i fragili significa, prima di tutto, costruire risposte insieme.  Tra analisi e proposte, emerge una visione chiara: norme più accessibili, formazione diffusa e reti territoriali solide possono trasformare un istituto nobile in una vera opportunità di vita. 

Ricordiamo ai lettori che per partecipare in presenza e accedere al CNEL è obbligatorio registrarsi tramite il seguente link: CLICCA QUI PER PARTECIPARE IN PRESENZA

Il Report 

L’Amministratore di Sostegno: tra innovazione e vecchi paradigmi 

Introdotto nel 2004 con la Legge n. 6, l’amministratore di sostegno avrebbe dovuto segnare una svolta epocale nel modo di concepire la protezione giuridica delle persone con disabilità, abbandonando definitivamente il modello paternalistico dell’interdizione e dell’inabilitazione per abbracciare una logica di sostegno alla capacità decisionale.  

Eppure, a quasi vent’anni dalla sua introduzione, l’AdS rischia di essere snaturato dalla prassi applicativa. Troppo spesso, infatti, i tribunali – anziché privilegiare la volontà e l’autodeterminazione della persona – finiscono per concentrarsi quasi esclusivamente sulla tutela del patrimonio, trasformando quello che dovrebbe essere uno strumento di emancipazione in una sorta di “tutela mascherata”.  

La deriva patrimonialistica e il tradimento dello spirito originario 

Il Codice Civile (art. 408) è chiaro: l’amministratore di sostegno deve agire “nel rispetto della volontà della persona”, intervenendo solo laddove strettamente necessario e sempre in modo proporzionato. Nella realtà, però, accade frequentemente che i giudici – spesso per eccesso di cautela o per carenza di informazioni – attribuiscano all’AdS poteri troppo ampi, arrivando in alcuni casi a sostituirsi completamente alla persona nelle decisioni più importanti della sua vita.  

Nato per tutelare, in alcuni casi si è trasformato in uno strumento di controllo e coercizione, svuotando completamente la volontà della persona che dovrebbe invece proteggere. Emblematici sono i casi denunciati dal programma “Le Iene”, come quello di Carlo, un uomo con disabilità fisica ma perfettamente capace di intendere e di volere, a cui è stato imposto un AdS contro la sua volontà, privandolo della libertà di gestire i propri soldi e decidere della propria vita. O quello di Simona, una donna autosufficiente che, dopo una controversa nomina dell’amministratore, si è vista negare persino la possibilità di scegliere dove vivere e con chi relazionarsi. Questi casi non sono isolati: sempre più spesso, l’AdS viene utilizzato come uno strumento di interdizione mascherata, dove la persona viene sottoposta a un regime di limitazioni sproporzionate, senza che vi sia una reale necessità.

Spesso, dietro queste situazioni, si nascondono conflitti familiari, interessi economici o semplicemente un’applicazione superficiale della legge da parte dei tribunali, che nominano amministratori senza valutare adeguatamente le reali capacità residue della persona. 

Una deriva che contraddice platealmente i principi sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009), la quale all’art. 12 stabilisce che gli Stati devono riconoscere “la piena capacità giuridica delle persone con disabilità su base di uguaglianza con gli altri”……, garantendo che i sistemi di sostegno rispettino “la volontà, le preferenze e i diritti” dell’individuo.  Eppure, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità imporrebbe invece di ascoltare la volontà dell’individuo prima di qualsiasi intervento, ma la realtà è che, in troppi casi, l’AdS viene deciso sulla persona, senza la persona. Questi abusi tradiscono lo spirito originario dell’istituto e rendono urgente una riforma che ponga fine a queste distorsioni, restituendo voce e autonomia a chi rischia di perderle proprio in nome di una protezione che troppo spesso si trasforma in oppressione.

Il contrasto tra le nobili finalità dell’amministrazione di sostegno e la sua concreta applicazione emerge con drammatica evidenza dall’esame della giurisprudenza e dei dati recenti. Quello che doveva essere uno strumento di emancipazione rischia spesso di trasformarsi in un meccanismo di controllo, svuotando di significato il principio cardine dell’autodeterminazione.  

Il caso deciso dal Tribunale di Roma nel 2021 rappresenta un emblematico spartiacque. La pronuncia, che ha revocato un provvedimento di amministrazione di sostegno imposto senza adeguata valutazione delle reali capacità dell’interessato, ha fissato un principio chiaro: l’AdS non può e non deve configurarsi come una forma mascherata di interdizione. Il giudice romano ha sottolineato come la misura debba sempre mantenere un carattere proporzionale e rispettoso della volontà della persona, specialmente quando emergono conflitti familiari che potrebbero distorcere la finalità dell’istituto.  

Tuttavia, i numeri raccontano una realtà preoccupante! 

Secondo gli ultimi dati del Ministero della Giustizia, nel 65% dei casi l’amministrazione di sostegno viene utilizzata principalmente come strumento di gestione patrimoniale, trascurando completamente la dimensione esistenziale e relazionale della persona. Una deriva che tradisce lo spirito originario della legge dove emerge che ben un terzo delle segnalazioni ricevute dagli enti no-profit riguarda provvedimenti emessi senza nemmeno incontrare la persona interessata, in palese violazione non solo della legge nazionale ma anche dei principi sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.  

Questa preoccupante tendenza rivela un sistema che troppo spesso:  

– privilegia la logica della sostituzione decisionale rispetto a quella del sostegno;  

– trascura il dovere di ascoltare la persona e valutarne le effettive capacità residue;  

– finisce per strumentalizzare uno strumento nobile per finalità estranee alla tutela dei diritti.  

Le conseguenze sono particolarmente gravi quando, come nel caso di Carlo, (si veda il servizio delle Iene), e molti altri, la nomina dell’amministratore di sostegno avviene contro la volontà espressa della persona, trasformando quella che dovrebbe essere una misura di protezione in una forma di oppressione legalizzata. Situazioni che non solo ledono i diritti fondamentali degli individui, ma minano alla base la credibilità stessa dell’istituto.  

Di fronte a questo scenario, diventa urgente un cambio di paradigma che:  

1. rafforzi le garanzie procedurali, a partire dall’obbligo di ascolto della persona interessata;  

2. introduca verifiche periodiche sull’effettiva necessità della misura;  

3. promuova una formazione specifica per tutti gli operatori coinvolti, dai giudici tutelari agli amministratori stessi.  

E, in questo contesto, il Terzo Settore può e deve svolgere un ruolo determinante. Grazie alla sua vicinanza al territorio, alla sua capacità di ascolto e alla sua naturale vocazione alla tutela dei diritti, il mondo del no-profit rappresenta infatti l’interlocutore ideale per ripensare l’istituto dell’AdS in un’ottica realmente inclusiva, anche alla luce della legge 117/2017 che ha fornito un quadro normativo solido per valorizzare il ruolo degli Enti del Terzo Settore (ETS) nella gestione di servizi di interesse generale, tra cui rientra a pieno titolo l’amministrazione di sostegno.  

In particolare, la legge su richiamata definisce criteri trasparenti per l’accreditamento degli ETS, garantendo standard qualitativi elevati, promuove la sussidiarietà orizzontale, favorendo collaborazioni strutturate tra enti pubblici e privati no-profit e istituisce il Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS), uno strumento prezioso per mappare le organizzazioni idonee a svolgere funzioni di AdS.  

Eppure, nonostante questo quadro favorevole, l’effettivo coinvolgimento del Terzo Settore nella gestione degli AdS resta ancora troppo marginale.  

Allora, perché Scegliere un ETS come Amministratore di Sostegno?   

Il Report da una risposta chiara, la proposta di legge rappresenta un importante passo avanti nella valorizzazione del Terzo settore come attore qualificato nel sistema di protezione delle persone fragili. L’introduzione di un elenco dedicato presso il Ministero della Giustizia garantisce trasparenza, qualità e controllo degli enti che assumono incarichi così delicati come quello dell’amministratore di sostegno. Il testo normativo proposto riesce a coniugare esigenze di professionalità e continuità dell’assistenza con i principi di sussidiarietà e solidarietà propri del Terzo settore. In particolare, l’obbligo per gli enti di individuare un referente interno assicura un punto di riferimento stabile per il giudice tutelare, aumentando l’efficienza e la personalizzazione dell’intervento. Infine, l’integrazione della materia tra le attività di interesse generale del Codice del Terzo Settore rafforza il riconoscimento giuridico e sociale di questa funzione, aprendo anche a nuove opportunità di collaborazione tra pubblico e privato sociale.

Perché come tutti noi sappiamo l’amministratore di sostegno (AdS) rappresenta una misura di protezione flessibile e personalizzabile, pensata per rispondere alle specifiche esigenze della persona con disabilità e, nella prassi, emergono spesso situazioni complesse in cui le famiglie, pur con tutta la loro dedizione, possono trovarsi in difficoltà nel gestire tutti gli aspetti legati al sostegno del proprio congiunto. È in questi casi che gli Enti del Terzo Settore (ETS) possono rappresentare una risorsa preziosa, non in contrapposizione alla famiglia, ma come supporto aggiuntivo e specializzato.

1. Un Ruolo di Affiancamento, Non di Sostituzione

Gli ETS non devono essere visti come “sostituti” della famiglia, bensì come alleati in un percorso condiviso. Mentre i familiari conoscono profondamente la persona, le sue abitudini e i suoi affetti, gli enti no-profit possono offrire:

  • Competenze tecniche e multidisciplinari: avvocati, assistenti sociali, psicologi ed educatori formati sui temi della disabilità e della capacità giuridica possono integrare il lavoro della famiglia, soprattutto in ambiti complessi (questioni legali, gestione patrimoniale, rapporti con i servizi socio-sanitari).
  • Neutralità e mediazione: in situazioni di conflitto familiare o quando le decisioni richiedono un approccio super partes, un ETS può garantire maggiore oggettività, evitando che dinamiche personali condizionino le scelte a scapito della persona con disabilità.

2. Maggiore Struttura e Continuità nel Tempo

Le famiglie, per quanto amorevoli e presenti, possono trovarsi in difficoltà per:

  • Fragilità personali: un genitore anziano potrebbe non essere in grado di seguire tutte le incombenze legali e burocratiche.
  • Impreparazione giuridica: molte famiglie non conoscono appieno i diritti della persona con disabilità e rischiano di accettare soluzioni giudiziarie più invasive del necessario.
  • Rischi di isolamento: in assenza di una rete di sostegno, il caregiver familiare può trovarsi solo nell’affrontare situazioni sempre più complesse.

Un ETS, invece, garantisce:

  • Stabilità organizzativa: a differenza di un singolo individuo, un’organizzazione non è soggetta a improvvisi cambiamenti (malattie, decessi, conflitti familiari) che potrebbero interrompere il sostegno.
  • Procedure chiare e trasparenti: molti enti adottano protocolli operativi che assicurano il rispetto della volontà della persona, documentando ogni decisione in modo verificabile.

3. Accesso a Reti e Risorse Territoriali

Gli ETS, grazie alla loro radicazione nel territorio e alle collaborazioni con servizi pubblici e privati, possono:

  • Attivare percorsi personalizzati: ad esempio, collegando la persona con disabilità a servizi di assistenza domiciliare, centri diurni o progetti di vita indipendente.
  • Facilitare l’inclusione sociale: attraverso laboratori, attività ricreative e percorsi di autonomia che vanno oltre la mera gestione amministrativa.
  • Offrire formazione ai familiari: aiutando i caregiver a comprendere meglio i diritti e gli strumenti a disposizione.

4. Un approccio basato sui Diritti Umani, non solo sulla gestione del patrimonio

Mentre il sistema giudiziario spesso riduce l’AdS a una questione di tutela patrimoniale, gli ETS – specialmente quelli che operano nel campo della disabilità – tendono a privilegiare l’autodeterminazione. Alcune buone pratiche già diffuse includono:

  • Piani di sostegno partecipati: la persona con disabilità viene coinvolta direttamente nelle decisioni, con l’aiuto di facilitatori se necessario.
  • Verifiche periodiche: l’ente monitora l’efficacia degli interventi, adattandoli alle mutevoli esigenze della persona.
  • Advocacy: molti ETS segnalano ai tribunali misure eccessivamente restrittive, promuovendo revisioni a favore dell’autonomia.

L’obiettivo non è scavalcare le famiglie, ma supportarle laddove le loro forze o competenze non bastino. Gli ETS possono essere nominati:

  • In affiancamento al familiare AdS, per fornire consulenza su aspetti specifici.
  • Come “ultima ratio”, quando non ci sono familiari disponibili o idonei.
  • In casi di particolare complessità, dove servono competenze specialistiche.

L’evento del 25 giugno sarà quindi l’occasione per lanciare una  proposta ambiziosa: trasformare l’AdS da strumento di sostituzione a strumento di condivisione, dove la persona con disabilità non sia oggetto di decisioni ma  soggetto attivo  del proprio progetto di vita.  

Alcune esperienze virtuose – come i progetti di co-amministrazione promossi da alcune associazioni – dimostrano che un altro modello è possibile. Ora serve il coraggio delle istituzioni per fare di queste buone prassi una realtà diffusa.  

In conclusione, si prospetta una sfida che non possiamo permetterci di perdere.

Quella dell’amministratore di sostegno è una battaglia di civiltà giuridica. Se vogliamo davvero costruire una società inclusiva, dobbiamo smettere di vedere le persone con disabilità come “soggetti da proteggere” e iniziare a riconoscerle come cittadini a pieno titolo, capaci di autodeterminarsi con il giusto sostegno.  

Il Report che verrà presentato al CNEL e le riflessioni che emergeranno dal dibattito potranno essere una pietra miliare in questo percorso. Ma perché ciò accada, serve un impegno concreto da parte di tutti: istituzioni, magistratura, Terzo Settore e società civile.  

La strada è tracciata. Ora bisogna percorrerla fino in fondo.

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