Autonomia differenziata, e se fosse un’applicazione dell’amministrare condiviso?

[di Gianluca Budano, pubblicato su «Corriere Buone Notizie» del 2 luglio 2024]

La cd. autonomia differenziata interroga decisori politici e studiosi sull’impatto che questa può avere sulla soddisfazione effettiva  (e non teorica) dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni sociali in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Anzitutto va premesso che Lea e Leps  si inseriscono, anche laddove uniformemente soddisfatti, in condizioni territoriali disomogenee, perché disomogenee sono le condizioni “di partenza” da cui ogni territorio parte. Se la speranza di vita e di mortalità in culla è diversa tra territori del centro nord e territori del centro sud, non è questione solo di LEPS o di LEA più o meno formalmente traguardati ma di condizione di contesto su cui più fattori, più determinanti della salute  (Dahlgren and Whitehead, 1993) agiscono e interagiscono. Determinanti della salute sono per la scienza gli stili di vita individuali e collettivi, i fattori costituzionali, età, genere, livello di istruzione, condizioni di lavoro, capitale sociale e relazionale, coesione sociale e territoriale, ecc. Lea e Leps non fanno una sintesi di tali determinanti ma sono limitati per definizione perché si rapportano al perimetro per il quale sono stati “configurati” (sanità e welfare) e non al complessivo benessere su cui si fonda il concetto di salute globale (definizione OMS).

Il realismo e il diritto ci insegnano che le norme sono norme e in quanto tali vanno rispettate  e lo sforzo/esercizio degli studiosi e degli interpreti può essere quello della “moderazione etica” del cambiamento, per riprendere la magistrale e umanissima espressione usata dal Santo Padre a proposito dell’intelligenza artificiale in seno alla riunione del G7 in Puglia.

Si potrebbe sperimentare una primissima moderazione etica all’autonomia differenziata “utilizzando” l’amministrazione condivisa quale paradigma per escludere che almeno sanità, istruzione e welfare, possano essere oggetto dell’attenzione del profit selvaggio. Tale input può essere oggetto di una norma nazionale ma anche di una norma regionale ma anche più semplicemente (tanto è possibile per sanità, istruzione e welfare in quanto attività di interesse generale elencate nell’art. 5 del dlg 117/2017) di una scelta amministrativa di Aziende sanitarie pubbliche e Comuni/Ambiti territoriali sociali, che potrebbero legittimamente applicare il codice unico del terzo settore in alternativa all’appalto, la rendicontazione a costi reali in alternativa all’utile, il ricorso al privato sociale iscritto al RUNTS con garanzia di requisiti prestabiliti a monte e a presidio e rafforzamento della tutela dell’interesse pubblico anziché la libera (e selvaggia) iniziativa economica su beni speciali come la salute e l’istruzione.

Salviamo la buona fede dei sostenitori dell’autonomia differenziata, a prescindere dalla loro collocazione in questo o quel partito (essendo la materia abbastanza trasversale alle singole componenti e parti politiche e dovendosi gli studiosi astrarre da tali valutazioni) e introduciamo l’amministrazione condivisa prevista dagli artt. 55 e seguenti del dlg 117/2017 quale elemento di moderazione etica della riforma sull’autonomia differenziata, anche a rafforzamento della “reputazione” etica dell’applicazione della ormai imminente normativa?

Può essere ad esempio l’attuazione delle decisioni Stato Regione in materia di accreditamento dei servizi di assistenza domiciliare integrata, il primo banco di prova su cui sperimentare la “moderazione etica”, nella carne e le ossa della salute territoriale e di prossimità, riservando agli ETS la gestione di tali servizi ai sensi del codice unico del terzo settore, magari associandoli e integrandoli con le “Case” e gli “Ospedali di comunità”, che il settore pubblico non riuscirebbe ad attivare date le croniche carenze di personale già presenti sulle primarie strutture sanitarie, evitando così di mandare in fumo copiose risorse del PNRR? Tanto basterebbe anzitutto ad escludere che la riforma, laddove indebolisse in alcuni territori la regia pubblica di alcuni servizi per la carenza di risorse a disposizione degli enti pubblici preposti, lo faccia per aprire un varco all’interesse speculativo. Ma sarebbe anche una ghiottissima occasione per attivare l’ampliamento dello spazio pubblico in favore di chi non vuole sostituirsi alla pubblica amministrazione (il profit puro) ma vuol esserne parte integrata (gli ETS). Il titolo V della Costituzione che in questi giorni il Parlamento ha inteso attuare, è intriso anche di questo tipo di autonomia, quella dei cittadini (art. 118 u.c. Costituzione italiana), di cui il legislatore deve tener conto. 

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