Quel tempo usato per gli altri (anche) in orario di lavoro: una impresa su tre dice sì

[di Luigi Bobba e Cristiano Caltabiano, pubblicato in «Corriere della Sera» di martedì 17 giugno 2025, pag. 41]

In un articolo apparso lo scorso aprile sulla rivista economica Forbes, Michael Sheldrick fondatore di Global Citizen, movimento internazionale di attivisti impegnati in campagne di riduzione della povertà estrema nel mondo, ha sostenuto che il volontariato aziendale è cresciuto impetuosamente fra le corporation, sino a diventare un fenomeno di tendenza nel capitalismo americano. Secondo l’autore questa dinamica espansiva è comprovata dal boom di richieste ricevute da piattaforme specializzate quali Goodera e Benevity, che supportano le imprese intenzionate a sviluppare programmi di volontariato rivolti ai propri dipendenti o altri progetti di natura filantropica. I numeri di queste reti di intermediazione e consulenza stanno lievitando, al pari delle attività promosse in modo autonomo dalle aziende per favorire il coinvolgimento nella comunità di manager e impiegati. 

Se questo è ciò che avviene negli Stati Uniti, è lecito chiedersi se qualcosa del genere non stia capitando anche nel nostro Paese. I dati raccolti in una ricerca realizzata da Unioncamere, in collaborazione con la Fondazione Terzjus, consentono di farsi un’idea in proposito. L’indagine è stata condotta nel 2024 nell’ambito del sistema Informativo Excelsior, su un campione assai ampio di imprese presenti nel nostro paese (circa 165mila). Si tratta della seconda edizione della rilevazione che, rispetto alla prima del 2023, ha visto un ampliamento della platea delle realtà imprenditoriali analizzate: due anni fa lo studio aveva riguardato solo aziende con 50 o più addetti, mentre l’ultima survey è stata estesa a tutte le società commerciali con dipendenti attive in Italia (circa 1,4 milioni). 

Sono poco meno di 65mila le imprese che nel 2024 hanno dichiarato di dare la possibilità ai propri dipendenti di cimentarsi in azioni solidaristiche o di utilità sociale durante l’orario di lavoro, il 9% del totale. A queste si affiancano circa 333mila aziende interessate a introdurre tali attività al proprio interno in un prossimo futuro (un altro 23%). In estrema sintesi, in quasi un terzo dei soggetti attivi (32%) nell’industria e nei servizi con occupati, il volontariato aziendale o è una pratica consolidata o potrebbe esserlo in un futuro prossimo. Guardando alla distribuzione geografica si vede che tale attività è lievemente più frequente nelle imprese del Nord-Ovest e del Nord-Est (rispettivamente 4,5% e 5,9% della totalità delle imprese con addetti) rispetto al Centro (4,3%) e al Sud (3,7%). Pur in presenza di differenze territoriali, si è di fronte ad una dinamica che investe il sistema-Paese nel suo complesso. Se poi si restringe il campo alle società medio-grandi sembra di assistere ad una rapida espansione di questa forma di volontariato (Fig.1): tra il 2023 e il 2024 è quasi raddoppiato il numero di enti commerciali con più di 50 addetti che consentono al personale di svolgere attività di utilità sociale (dal 5% al 9%, in valori assoluti da circa 4.000 imprese a più di 7.800); nello stesso periodo è aumentata anche la quota di soggetti imprenditoriali medio-grandi interessati ad introdurre al proprio interno programmi di questo genere (+6,0%).    

La ricerca consente anche di distinguere diverse modalità di ingaggio sociale dei dipendenti adottate dalle imprese (Fig.2): i permessi per donare il sangue o partecipare alle operazioni della protezione civile sono la tipologia di volontariato aziendale più frequente (63,6%), seguite dall’organizzazione di community days (12,6%, ad esempio giornate dedicate a ripulire un parco abbandonato o a visitare strutture residenziali per soggetti fragili). Accanto a queste forme più tradizionali o estemporanee di coinvolgimento civico dei dipendenti aziendali, ve ne sono altre  attraverso cui questi ultimi possono mettere la propria professionalità al servizio della comunità: informazione e sensibilizzazione culturale su temi riguardanti la salute, il cambiamento climatico o il progresso scientifico e tecnologico (10,8%), iniziative educative a favore di studenti e minori in difficoltà (8,6%), consulenze gratuite agli enti del terzo settore per rendicontare progetti, redigere il bilancio sociale o mettere a punto un piano di comunicazione rivolto a potenziali donatori  (4,2%); o, in ultima analisi, i programmi per aspiranti manager che prendono parte a progetti delle ONG in paesi in via di sviluppo per maturare le cosiddette soft skills (2,8%). Nell’insieme, queste forme di Volontariato di Competenza (VdC), che implicano una più accurata pianificazione da parte di manager apicali e responsabili delle risorse umane, sono state attivate in oltre un quarto delle imprese che danno l’opportunità ai lavoratori di sperimentarsi in attività di interesse generale (26,4%), con maggiore ricorrenza in quelle che hanno 50 o più dipendenti (44,8%). Ancora un dato: tra le imprese con più di 50 dipendenti si registra una crescita dal 41 al 44% di quelle che conoscono la norma, recepita nel Codice del terzo settore, che consente di dedurre fino al 5 per 1000 del costo del lavoro del personale impegnato in progetti di VdC con gli ETS. Un modesto ma significativo riconoscimento di meritorietà sociale attraverso la leva fiscale. Infine, da due anni a questa parte, la Fondazione Terzjus promuove le buone pratiche di VdC attraverso il premio “Volontari@Work”, nel tentativo di gettare un ponte tra i settori imprenditoriali orientati alla sostenibilità e il variegato mondo della solidarietà organizzata. I dati sembrano confortare questa scelta.        

GRAFICI

Figura 1 – Numero di imprese con più di 50 addetti in cui vengono svolte attività di volontariato aziendale o interessate ad introdurre tali attività in un prossimo futuro 

Fonte: Sistema informativo Excelsior-Unioncamere (2023-2024)     

Figura 2 – Tipi di volontariato aziendale nelle aziende italiane

Fonte: Sistema informativo Excelsior-Unioncamere (2024)     

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