Amministrazione condivisa: 5 leve per portarla a terra

Dal ricco confronto scaturito dall’Agorà del 10 gennaio scorso promossa dal Partito Democratico dedicata all’Amministrazione condivisa e coordinata dall’onorevole Stefano Lepri (che ha gia’ scritto sul tema), sono emerse alcune indicazioni utili certamente per la dirigenza del PD, per gli Amministratori locali ma altresì per gli Enti del Terzo settore.

La sfida per rimettere al centro la comunità, per realizzare rapporti collaborativi tra Enti del terzo settore e le Pubbliche amministrazioni e per accompagnare con adeguati provvedimenti e interventi la transizione sociale in corso in modo che sia sostenibile, equa e inclusiva, dipenderà grandemente dalle azioni che intraprenderanno sia i quadri degli ETS che gli amministratori eletti nei Comuni e nelle Regioni.
Qui, ho provato a riassumere in cinque linee propositive quanto emerso in questo originale confronto; il primo che un partito politico dedica ad uno degli aspetti più innovativi del Codice del Terzo settore.

1. Interventi legislativi di carattere nazionale e regionale
​Lo sviluppo dell’Amministrazione condivisa presuppone che il quadro legislativo emerso dalla riforma del Terzo settore sia attuato, completato ed eventualmente corretto laddove sia necessario. Ne consegue che:

  • la notifica alla Commissione UE delle norme di carattere fiscale del Codice del terzo settore (CTS) soggette ad autorizzazione comunitaria, sia prontamente inviata in modo da poter utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione della Riforma e ridurre gli elementi di precarietà e incertezza oggi presenti;
  • introdurre nel primo provvedimento utile gli emendamenti al CTS concordati tra il Forum del Terzo settore e il Ministero del Lavoro volti a dare sia un’interpretazione univoca a determinate norme, sia a correggerne alcune che si sono rivelate inefficaci o difficilmente applicabili
  • promuovere l’adozione a livello regionale di normative che recepiscano le novità contenute nel CTS. Finora , a più di quattro anni dall’approvazione del CTS, solo tre regioni hanno recepito e integrato la nuova normativa con leggi regionali proprie.

2. PNRR e ruolo del Terzo settore
Esiste una significativa discrasia tra le affermazioni di principio del Governo e dei principali esponenti politici e il contenuto dei provvedimenti attuativi del PNRR. Qui il ruolo del Terzo settore appare in alcuni casi inesistente, in altri marginale, in altri ancora meramente ancillare alle pubbliche amministrazioni. Ci sono le imprese, le istituzioni pubbliche ma il terzo pilastro – la comunità – viene poco considerato. Al piu’ viene derubricato ad “Altro…”
Di qui la proposta che si metta mano ad una correzione ai provvedimenti gia’ emananti ed ad una correzione di rotta per quelli in preparazione, attribuendo agli ETS la possibilità di essere destinatari diretti – proprio in forza degli art. 55 e 56 del CTS – dei finanziamenti a fondo perduto e di investimento previsti da Next Generation EU. A cominciare dal bando della Agenzia per la coesione circa l’utilizzo degli immobili confiscati alle mafie in particolare nelle Regioni del Sud.

3. Apprendere dal territorio: la comunità come risorsa per la coprogrammazione
Nel dibattito pubblico e nelle nuove procedure messe in campo dalle istituzioni locali, si è messo spesso l’accento sulla coprogettazione, lasciando invece in ombra la altrettanto importante attività relativa alla coprogrammazione. Questa carenza va colmata in quanto, in non pochi casi, gli interventi di carattere sociale non sortiscono il risultato atteso per le carenze nella individuazione dei bisogni e nella ricognizione delle risorse disponibili nella comunità territoriale.
Proprio qui, il Terzo settore può svolgere un ruolo primario, apportando una conoscenza dei bisogni, dei soggetti e del territorio derivante dal suo essere al centro delle dinamiche della comunità territoriale, come peraltro rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 131/2020.
Lo sviluppo di metodiche e procedure appropriate e l’accrescimento di competenze qualificate per attivare tavoli e processi di coprogrammazione possono consentire una partecipazione effettiva e non puramente simbolica dei soggetti della società civile organizzata e, allo stesso tempo, favorire poi una coprogettazione efficace nella risposta ai bisogni individuati.

4. Formazione diffusa e laboratorio dell’Amministrazione condivisa
Il qualificato piano di formazione dei quadri delle Pubbliche amministrazioni e degli ETS avviato dal Ministero del Lavoro e realizzato dall’Anci rappresenta certamente una strada decisiva per sconfiggere l’inerzia burocratica ed evitare che la mancanza di procedure amministrative adeguate finisca per svuotare la carica innovativa degli istituti dell’Amministrazione condivisa.

In tale contesto sono emerse due linee propositive:

  • allargare ulteriormente le attività formative per l’amministrazione condivisa anche alle diverse realtà territoriali coinvolgendo sia gli amministratori pubblici, i quadri della PA e i responsabili degli ETS in particolar modo le reti associative e i Centri di servizio del volontariato
  • dar vita ad un laboratorio dell’Amministrazione condivisa finalizzato ad una ricognizione delle esperienze già sul campo, alla standardizzazione delle procedure e all’introduzione di criteri di valutazione dell’impatto sociale come elemento discriminane per valutare la bontà e l’efficacia delle attività e dei servizi di interesse generale . A tale fine, l ‘Osservatorio Terzjus può mettere a disposizione le proprie risorse progettuali nonché le proprie competenze giuridico – organizzative per dare consistenza a questo obiettivo.

5. Istituire un Fondo per la transizione sociale
Su indicazione del presidente Giuseppe Guzzetti, sarebbe necessario estendere la normativa già in vigore con la legge 152/2021, art. 29 relativa ad interventi per una “Repubblica digitale” anche ad azioni , progetti ed iniziative volti a sostenere la transizione sociale, ovvero ad affrontare le nuove disuguaglianze nel tempo della post-pandemia.

È infatti importante promuovere la formazione e l’acquisizione di competenze digitali in modo da arginare nuovi processi di esclusione, ma altresì vi sono numerosi campi di intervento – inserimento al lavoro dei Neet, welfare di comunità, povertà educativa minorile, inclusione degli immigrati – che potrebbero essere utilmente affrontati con la metodologia – già sperimentata negli anni passati -, incentrata sul credito di imposta alle Fondazioni bancarie finalizzato alla creazione di uno o più Fondi vincolati allo scopo prescelto. Una prassi che ha visto un pieno coinvolgimento degli ETS, lo sviluppo di una cultura cooperativa con la PA e risultati significativamente migliori rispetto a provvedimenti unicamente incentrati sulle pubbliche amministrazioni.

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