Presidente, in occasione del lancio di Terzjus ha spiegato che uno degli obiettivi prioritari è “mettere a fuoco l’intero campo del Terzo Settore con un’attenzione aggiuntiva alla filantropia ed all’impresa sociale”. Perché oggi è necessario riservare questa attenzione alla filantropia? Che cosa è cambiato?
L’Osservatorio Terzjus intende avere uno sguardo d’insieme sul mondo del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale. Non a caso, tra i soggetti fondatori dell’Associazione Terzjus vi sono Assifero, la principale associazione delle fondazioni filantropiche, una grande fondazione come AIRC, Fondazione Italia sociale, nata proprio con la riforma del Terzo Settore, ma anche la giovane start up a vocazione sociale Italia Non profit, che sta dedicando, nel suo lavoro di raccolta, analisi e rielaborazione dati, una particolare attenzione alla filantropia. Il fatto stesso che l’Osservatorio Terzjus incorpori questi soggetti dice quanto il fenomeno della filantropia rappresenti un’”emergenza” nel nostro Paese. Uso il termine emergenza nel senso che ciò che finora è apparso poco significativo per dimensioni e ruolo, sta cambiando di segno sia per quantità che qualità.
Cito alcuni fenomeni recenti. Contestualmente al varo della riforma del Terzo Settore, vengono regolate sul piano normativo le società benefit, imprese profit che si prefiggono però’ di destinare una quota dei loro utili ad attività o progetti di valore sociale. Oppure, lo studio della Fondazione Cariplo che ha messo in luce che nei prossimi anni vi sarà una quota importante di “patrimoni senza eredi” che potrebbe costituire un asset fondamentale nello sviluppo di progetti degli ETS (Enti del Terzo Settore). E non è un caso che la Fondazione Italia sociale abbia recentemente proposto una normativa fiscale favorevole alla destinazione di questi patrimoni senza eredi proprio al sostegno di progetti ad alto impatto sociale. O ancora, proprio durante l’emergenza Covid, la Roche ha “prestato” al Ministero del Sanità per la gestione del call center per l’emergenza, circa 250 persone che hanno risposto a quasi il 30% delle telefonate in ingresso per un totale di 21.000 ore di dialogo telefonico, creando di fatto una forma originale di “volontariato di competenza”. Il fatto poi che diversi bandi di grandi multiutility di servizi prevedano un punteggio aggiuntivo per il fornitore che presenta progetti con azioni di compensazione ambientale, sta generando una nuova forma di “azioni socialmente responsabili” direttamente legate al business dell’azienda. E l’ultima legge finanziaria ha altresì codificato, con un’apposita norma, tale prospettiva che include la valutazione di impatto sociale tra i criteri meritori per l’aggiudicazione di un bando pubblico.
Dunque, tutto questo ci dice che la filantropia, considerata un fenomeno marginale e abbastanza estraneo alla cultura del nostro Paese, stia diventando una realtà con numeri significativi ma anche con volti e forme diversificate capaci di intercettare nuovi bisogni e di sostenere originali e qualificate risposte agli stessi.
Alla luce del ruolo fondamentale che ha giocato nella costruzione della Riforma del Terzo Settore, a suo avviso quale impatto tale riforma potrebbe generare per lo sviluppo della filantropia di impresa nel nostro Paese?
Quello a cui abbiamo assistito durante questo periodo credo sia emblematico. Se osserviamo i numeri della ricerca di Italia Non Profit sulle donazioni effettuate nel corso dell’emergenza COVID emerge come su 941 iniziative mappate oltre 550 provengono da aziende. Si tratta di un dato significativo perché evidenzia la sensibilità al dono/solidarietà da parte di soggetti che – seppur orientati per natura a obiettivi diversi – hanno scelto di fare la loro parte scendendo in campo al fianco delle proprie comunità e del Paese intero. Il fenomeno del corporate giving è in generale in crescita (l’ultimo rapporto di Dynamo Academy ci dice che il 40% delle imprese intervistate ha dichiarato un aumento delle donazioni erogate tra il 2017 e il 2018, superiore rispetto a quanto era stato previsto nel 2017) ma oggi più che mai ci troviamo di fronte a scenari inediti che richiedono sforzi e capitali aggiuntivi e diversi. Se l’ondata di ritrovata solidarietà a cui abbiamo assistito non fosse un fenomeno passeggero in risposta ad una situazione emergenziale, ma costituisse il volano per nuove imprese di avvicinarsi al mondo della solidarietà, allora potremmo disporre di un bacino più ampio di soggetti in grado di rispondere ai bisogni sociali che emergeranno nei mesi a venire.
In questo senso il nuovo quadro normativo introdotto con la Riforma potrebbe costituire un elemento di stimolo sia sul piano fiscale che civilistico. Penso non solo al riconoscimento, per la prima volta, all’interno della Riforma degli enti filantropici (art.37 CTS) quali “enti del Terzo Settore costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale” ma anche alla normativa fiscale di vantaggio per le erogazioni liberali, che prevede sia una semplificazione che un innalzamento della deducibilità per i redditi d’impresa.
Nella legislazione secondaria poi, già emanata o in via di emanazione, vi sono importanti novità. Mi riferisco al decreto ministeriale con cui si è facilitata e allargata la possibilità per le aziende di donare beni ad enti di Terzo Settore. L’ampliamento delle categorie dei beni cedibili sotto forma di donazione e un regime fiscale più semplice e favorevole potrebbe generare nuove modalità di sostegno agli interventi degli enti di Terzo Settore. Oppure ancora, la possibilità di sviluppare in forma più ampia, da parte degli ETS, attività secondarie e strumentali, potrebbe essere supportata, in termini di strumentazione e competenze, da parte di realtà aziendali. Si darebbe luogo cosi ad una migliore capacità degli ETS di autosostenersi nello sviluppo di progetti ed attività. Si sta altresì studiando, proprio in vista della legge di bilancio 2021, una modifica del Codice del Terzo Settore per attribuire a tutti i soggetti che si iscriveranno nell’apposita sezione degli enti filantropici del Registro unico, un regime fiscale più favorevole per i patrimoni immobiliari e mobiliari destinati allo sviluppo di attività di interesse generale. In sintesi, il merito della Riforma è stato quello di costruire le fondamenta per lo sviluppo di un settore oggi più che mai necessario; toccherà poi alle organizzazioni popolare questa nuova “casa”.
In particolare, quali elementi potrebbero favorire l’azione delle fondazioni d’impresa? Con quali peculiarità rispetto all’universo del Terzo Settore?
Oxford Economics stima che le domande di servizi sociali insoddisfatte dallo Stato ammonteranno a 70 miliardi di euro entro il 2025 (si tratta ovviamente di un numero destinato a crescere in quanto non tiene conto della crisi Covid). Solo per portare un esempio, il Banco Alimentare ha visto aumentare del 40% in tutta Italia le richieste, e quindi gli interventi, per la consegna di pacchi di cibo per chi ha perso tutto, con picchi del 70% nelle regioni del Sud. È quindi impensabile prescindere da un attore terzo che investa competenze, tempo e denaro per sanare la voraginedi bisogni a cui si farà fatica dare una risposta: la filantropia è emersa e si sta affermando come uno dei bacini alternativi di reperimento di risorse, capace di sfruttare esperienze e modalità di intervento che producano un cambiamento – o un impatto – sociale tangibile, costruendo legami con il mondo delle aziende e della finanza altrimenti impensabili. In Italia, ogni anno la filantropia veicola fra 9 e 10 miliardi di Euro. Il contributo specifico delle fondazioni d’impresa non è legato solamente al capitale aggiuntivo ma quanto più alle conoscenze, alle modalità e al know how che questi soggetti sono in grado di portare all’universo del Terzo Settore che ancora oggi spesso accusa una mancanza di competenze gestionali, strategiche o di valutazione delle proprie attività/interventi (molte fondazioni d’impresa offrono attività di capacity building accanto all’erogazione dei contributi economici).
Altra considerazione: la crisi che stiamo vivendo rischia di esacerbare ancora di più i divari territoriali che già esistono nel nostro Paese e che vanno al di là del classico Nord-Sud. In questo contesto le risposte della filantropia possono rappresentare una risposta importante perché basate sull’ascolto dei bisogni e sulla strutturazione di interventi ad ampio respiro che siano rispondenti alle istanze provenienti dalle comunità di riferimento. Il tema è stato affrontato qualche settimana fa in maniera molto lucida da Andrea Silvestri della Fondazione CRC, proprio sulle pagine di Percorsi di secondo welfare, sottolineando l’esigenza per le Fondazioni di promuovere progettualità integrate che siano in grado di coinvolgere gli attori del territorio attraverso strumenti partecipativi, così da creare risposte ai bisogni con un respiro temporale di medio periodo.
Infine, proprio dalla crisi Covid, le fondazioni d’impresa potrebbero trarre una lezione: adottare, come hanno fatto nel tempo dell’emergenza, dei criteri meno rigidi e burocratizzati per la valutazione dei progetti e delle organizzazioni che hanno richiesto un supporto. L’avvio (previsto per il febbraio 2021) del RUNTS, favorendo la creazione di basi di dati certe e indipendenti, accessibili e disponibili a tutti, potrebbe rendere più semplice e veloce alle fondazioni il processo di valutazione e controllo dei progetti e delle organizzazioni.
Ritiene che le fondazioni d’impresa italiane siano pronte ad investire maggiormente nella filantropia strategica? Se sì, a quali condizioni?
Se leggiamo l’ultimo rapporto sulle Fondazioni d’impresa realizzato da Fondazione Bracco e Fondazione Sodalitas in collaborazione con Percorsi di secondo welfare, emerge come sebbene stia crescendo l’interesse per la filantropia strategica, non è ancora del tutto adeguata la capacità di promuoverla nei fatti. Il 70% delle fondazioni di impresa dichiara di effettuare attività di valutazione delle proprie attività. Tuttavia solo poche fanno ricorso ai metodi di valutazione più sofisticati (come valutazione d’impatto). Il 42% delle fondazioni ha intenzione di intraprendere nei prossimi tre anni dei cambiamenti nelle modalità di intervento e/o nel settore d’intervento. In particolare, il 48% del campione pensa che debba essere migliorata la comunicazione, il 34% la capacità di progettare sul lungo periodo, il 30% pensa che debbano essere migliorate le modalità di valutazione degli interventi, mentre il 22% ritiene che si debba migliorare il raccordo con gli altri attori presenti sul territorio. Il 22% auspica una maggiore focalizzazione su un numero selezionato di interventi. Il 69% ha intenzione, nei prossimi tre anni, di rafforzare la partnership con altre istituzioni e/o organizzazioni fino alla costituzione di reti stabili. Se da un lato troviamo grandi fondazioni corporate che già sono orientate verso questa direzione dall’altra quelle piccole fanno più fatica, sia per mancanza di una cultura per queste nuove forme di intervento sia per le modeste risorse umane e finanziarie di cui sono dotate. Lo sviluppo di una rete associativa come Assifero ma anche il consolidamento delle azioni della Fondazione Italia sociale potrebbero facilitare sia lo sviluppo delle reti che il sostegno in termini di competenze e servizi specialmente alle fondazioni di minori dimensioni.
Se si pensa e si progetta con un orizzonte di filantropia strategica, potrebbero diventare alquanto utili e importanti alcuni strumenti/opportunità contenuti nella riforma che non hanno ancora trovato applicazione, o per ritardo nella emanazione degli atti amministrativi necessari, o per carenza di attenzione da parte degli Enti di Terzo Settore. Mi riferisco all’utilizzo del “social bonus”, che potrebbe dare solidità ai progetti degli enti di Terzo Settore e vedere le fondazioni d’impresa tra i soggetti che, attraverso erogazioni liberali, supportano la ristrutturazione di immobili destinati alle attvità di interesse generale e si affiancano agli ETS nello sviluppo di campagne di donazioni finalizzate. Oppure, alla possibilità di pensare e sostenere progetti di medio periodo entrando come soci nelle nuove imprese sociali. O infine, qualora il governo si orienti ad utilizzare parte delle risorse del Recovery Fund per macro-progetti sociali (recupero dei borghi e dei territori abbandonati, welfare di comunità, formazione digitale per i bambini e le famiglie più disagiate), le fondazioni d’impresa potrebbero concorrere a tale investimento favorendo l’ingaggio di giovani in servizio civile. Un’esperienza simile era stata realizzata nel 2015 dalla società Expo che aveva finanziato 120 posti di servizio civile per servizi rivolti ai Paesi del sud del mondo e alle organizzazioni non profit presenti in Expo a Milano.
In queste settimane si è discusso molto dell’impatto dell’emergenza Covid sulla filantropia. Ad esempio, il professor Zamagni ci spiegava come occorra prestare molta attenzione a non ridurre il ruolo della filantropia ad un mero ruolo emergenziale. De Rita, sulle pagine di Vita, discuteva invece di una “verticalizzazione decisionale” attuata nella gestione dell’emergenza, fino all’orientamento del flusso delle beneficienze private. Elementi che inevitabilmente sono destinati a influenzare ruolo e azione del Terzo Settore. Qual è la sua opinione in merito? Quale impatto ritiene che l’emergenza eserciterà sulla filantropia nel nostro paese?
Condivido sia la preoccupazione di De Rita – il rischio di uno statalismo dell’emergenza – sia la riflessione di Zamagni, ovvero la necessità di pensare le risposte ai nuovi bisogni non in una logica emergenziale, adottando invece un approccio strategico. Ovvero non lasciarsi risucchiare dalla crisi, ma cogliere nella crisi un’opportunità di ripensamento del ruolo del Terzo Settore come vero “terzo pilastro” delle nostre società. In questo senso, la riforma del Terzo Settore, che ha dato vita ad un diritto comune del Terzo Settore, può rappresentare sia un argine ad uno statalismo invadente sia una leva per delineare con maggior chiarezza ed efficacia il ruolo del Terzo Settore e della filantropia negli anni a venire.
Io stesso ho recentemente formulato alcune proposte che muovono proprio in questa direzione. Mi riferisco alla necessità che la RAI, anziché supportare unicamente le donazioni verso la Protezione civile, promuova una campagna affinché tendenzialmente tutti i contribuenti utilizzino lo strumento del 5X1000, indirizzandolo proprio verso gli ETS; in secondo luogo, se si vuole che cresca una nuova famiglia di imprese sociali, è urgente che il Governo, anche utilizzando il decreto “semplificazioni”, cancelli la norma che lo obbliga a comunicare alla Commissione Europea il nuovo regime fiscale volto a favorire gli investimenti nelle nuove imprese sociali. Avremmo così la nascita di nuova famiglia di imprese caratterizzate da una significativa ibridazione con il mondo profit.
Infine, il governo italiano – analogamente a quello che farà la Commissione Europea -, disponga il varo di un “Action plan per l’economia sociale e il Terzo Settore“. Solo così si potrebbe sfuggire ad un utilizzo frammentato e occasionale delle risorse del Recovery Fund, riconoscendo al Terzo Settore un ruolo strategico nel rilancio economico e nel rafforzamento della coesione sociale del Paese