Il mondo del Terzo settore si trova ad affrontare una singolare temperie, carica di rischi ma anche di molte opportunità. Da un lato, è sospinto al cambiamento dalla Riforma che lo ha interessato per intero sia sul piano civilistico che fiscale; dall’altro, non può non cogliere le sfide che sono insite nell’attuazione del PNRR. I due fattori sono altresì intrecciati con il prossimo varo del Social Economy Action Plan, a cui sta lavorando il Commissario UE Nicolas Schimdt. Un tempo dunque di accelerati cambiamenti che richiedono scelte coraggiose e capacità di visione.
Ma cominciamo dallo stato di attuazione della riforma del Terzo settore. Dal Terzjus Report 2021 emerge un macro dato. La riforma è apprezzata da piu’ dell’80% dei soggetti interessati, ma rischia di essere sprecata in quanto la sua attuazione procede con passo troppo lento.
Un passaggio decisivo sarà sicuramente l’avvio del RUNTS, il Registro unico degli enti del terzo settore. È trascorso ormai piu’ di un anno da quando il Ministero del Lavoro ha emanato il relativo decreto. E i sei mesi dati alle Regioni per istituire l’ufficio del Registro ed effettuare le trasmigrazioni delle Aps e delle Odv iscritte ai precedenti registri, sono abbondantemente scaduti. Serve un deciso intervento del Ministro del Lavoro per smuovere chi ancora sonnecchia, anche perchè lo stesso Ministero, già dal 2018, ha trasferito a tutte le Regioni le risorse per dotarsi del personale e delle attrezzature necessarie alla gestione del Registro. Senza questo cardine fondamentale, la riforma resta zoppa.
Connessa al Registro vi è la seconda questione essenziale: la notifica alla Commissione UE di alcune delle nuove norme fiscali. Ormai questo atto si trascina da circa quattro anni, anche se il Ministro Orlando, intervenendo a fine luglio alla prima riunione del ricostituito Consiglio nazionale del terzo settore, ha assicurato che la notifica era in via di perfezionamento e in autunno sarebbe stata trasmessa a Bruxelles.
Guardando l’altra faccia della medaglia, osserviamo che sono stati invece adottati nel 2021 provvedimenti importanti quali il Regolamento delle attività diverse previste all’art.6 del Codice, le disposizioni relative al 5 per 1000 e quelle sulle donazioni di beni in natura. In forza di questi tre atti amministrativi, gli ETS sono spinti ad investire maggiormente sulle attività secondarie e strumentali come fonte finanziaria per il sostegno delle proprie attività di interesse generale; poi, avranno a disposizione in tempi più rapidi la quota spettante del 5 per mille; infine, potranno ricevere non solo erogazioni liberali in denaro con un trattamento fiscale più favorevole per il donatore, ma altresì beni in natura da imprese che, in forza della facilitazione fiscale, potrebbero essere spinte a sostenere in tal modo i progetti degli ETS.
Dal versante delle misure promozionali, vi è una buona notizia. Nel decreto “Sostegni bis” dell’agosto scorso, è stato cancellata la necessità di un decreto attuativo del MEF per dare avvio al social lending. Così, fin da ora, le piattaforme di crowfunding potranno raccogliere risorse per gli ETS con un significativo vantaggio fiscale, ovvero la rendita finanziaria del risparmio raccolto e prestato agli ETS, sarà trattata con l’aliquota dei titoli pubblici (12,5%) anziché con quella della generalità delle rendite finanziarie (26%). Mancano invece all’appello il Social bonus, anche se il Ministero ha assicurato che l’atto è in avanzata fase di preparazione, e i Titoli di solidarietà. Qui il MEF potrebbe da subito emanare il decreto attuativo escludendo per ora la quota di liberalità (0.6% del valore del titolo) che il risparmiatore acquirente può donare come forma di liberalità ad un progetto di un ETS. Infatti, solo tale norma e non l’intera disposizione sui Titoli di solidarietà è soggetta ad autorizzazione comunitaria.
Da questo sommario e non completo quadro, si evince che le misure che si presentano come opportunità sono meno conosciute o non sono ancora state attuate. Ne deriva uno strabismo singolare per cui la Riforma viene percepita più come una nuova regolazione che come leva di sviluppo. Tale strabismo potrebbe rappresentare un freno per gli ETS nel cogliere tutte le potenzialità insite nel PNRR. Il richiamo all’art.55 del CTS, che il Presidente del Consiglio Draghi ha fatto nel suo discorso programmatico alla Camera , dovrebbe fungere da stella polare per l’utilizzo delle risorse del PNRR, attivando da subito le procedure dell’amministrazione condivisa: coprogrammazione,coprogettazione e accreditamento. I primi segnali circa l’impiego della quota di risorse già versata dalla UE all’Italia, non sono incoraggianti. Si percepisce il Terzo settore sempre come fornitore e non come partner delle amministrazioni pubbliche. Ma la via collaborativa tra ETS e PA ha la stessa dignità di quella concorrenziale e ,anzi, può essere privilegiata proprio per quella comunanza di scopo tra ETS e PA riconosciuta dalla sentenza della Corte Costituzionale del giugno 2020. Le risorse aggiuntive appostate per la non autosufficienza, per il servizio civile, per la povertà educativa minorile, per l’utilizzo degli immobili confiscati alle mafie, per la formazione duale, per il welfare di comunità, per l’housing sociale, per il ricupero delle periferie ( solo per citare alcuni dei capitoli della Missione 5 del PNRR) debbono essere spese prevalentemente non attraverso bandi tradizionali ma avvalendosi delle procedure dell’amministrazione condivisa.
L’attuazione rapida e completa della Riforma, nonché una scelta di metodo innovativa (agganciata agli art.55 e 56 del Codice) nella gestione del PNRR, potrebbero mettere in condizione il Governo insieme agli ETS di presentarsi a Bruxelles con le carte in regola per essere tra i protagonisti del Piano di azione dell’economia sociale. Poiché l’Italia è l’unico Paese della UE ad avere una normativa unitaria sul Terzo settore, siamo nelle condizioni di diventare un soggetto trainante per la creazione di un ecosistema adeguato e forte per lo sviluppo del “terzo pilastro “ a livello europeo.