Per il presidente della Fondazione Terzjus, Luigi Bobba: «associazioni sportive e onlus restano in attesa di certezze sul regime fiscale». Il direttore del Forum, Maurizio Mumolo aggiunge: «Per sciogliere i nodi legislativi manca anche un decreto promesso dalla vice ministra Bellucci»
Poco più di 110mila sono gli enti iscritti al Registro unico del Terzo settore (Runts), di cui poco meno di 69mila sono trasmigrati, ovvero enti precedentemente iscritti ai Registri regionali del volontariato e della promozione sociale. Vi sono poi più di 24mila imprese sociali i cui dati sono stati condivisi con il Runts dalla sezione speciale del Registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio; e infine compaiono quasi 20mila “nuovi” Ets che si sono iscritti al Runts a partire dal novembre 2021.
A 7 anni dall’approvazione in Parlamento della legge 106/2016 sul riordino del Terzo settore, a che punto siamo? Tanto si è parlato del registro unico perché avrebbe dovuto sanare una grande frammentarietà di dati che ha caratterizzato il non profit, con decine di elenchi e albi sparsi, ma «nell’applicazione delle norme si è ecceduto in regolamentazione cosicché enti di piccole dimensioni hanno finito per lamentare complessità nell’iscrizione al Runts» ha spiegato l’ex sottosegretario al Welfare, nonché anima della riforma stessa Luigi Bobba. «Il percorso di questa normativa così complessa per un mondo, quello del Terzo settore così variegato, è stato sottovaluto dall’inizio» ha ribadito Maurizio Mumolo, direttore del Forum del Terzo settore, che pure ha ammesso che l’alternarsi di cinque differenti governi, dal 2016 a oggi, non ha certamente favorito la continuità normativa necessaria all’attuazione della riforma. Mumolo ha poi messo in evidenza che, per sciogliere questi ultimi nodi legislativi, mancano ancora un decreto attuativo sulle attività di controllo delle reti associative, promesso dalla vice ministra alle politiche sociali Maria Teresa Bellucci per l’autunno e l’autorizzazione da parte della Ue di alcune norme riguardanti il nuovo regime fiscale degli Ets.
«Due aree – ha proseguito Bobba, presidente di Terzjus, l’osservatorio di diritto del non-profit – sono al momento rimaste sulla soglia del registro: da un lato le associazioni dilettantistiche sportive e dall’altro 22mila onlus, delle quali poche si sono iscritte, poiché mancando ancora l’autorizzazione comunitaria al nuovo regime fiscale vogliono valutare con calma di non essere penalizzate». Servono, quindi, ancora dei correttivi legislativi alle norme esistenti che richiedono un aggiornamento. Obiettivo? Permettere finalmente alle imprese sociali di poter accedere ai fondi pubblici, di ricevere donazioni in maniera semplificata, di accedere al 5xmille e godere di agevolazioni fiscali.
A tal proposito c’è un altro tema che ha toccato Bobba e riguarda l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. « È necessaria una norma di indirizzo a livello nazionale che dia impulso a tutte le regioni per regolare in maniera uniforme l’Irap» ha spiegato, poiché in questo momento soltanto la Valle d’Aosta si è allineata con il Codice del Terzo settore, chiarendo quanto devono versare di Irap gli Ets. Mentre nel resto d’Italia onlus e altre organizzazioni che non versavano l’Irap o pagavano una aliquota agevolata, con l’iscrizione al Runts e diventando Ets, perderebbero la qualifica di Onlus e di conseguenza l’agevolazione, pur facendo le stesse cose di prima. E questo spiegherebbe anche perché il Runts non raccolga ancora tutte le 300mila realtà presenti nel nostro Paese e molte siano rimaste alla finestra in attesa che la riforma sia completata.
Al di là dei ritardi e dei correttivi necessari, Bobba ha voluto comunque osservare positivamente la crescita negli ultimi 6 mesi delle nuove iscrizioni al Runts: una parte sono enti effettivamente nati dopo l’avvio della riforma; un’altra è rappresentata da soggetti che hanno deciso di emergere, ovvero che non erano mai stati iscritti ad alcun registro pubblico; infine, una terza parte è composta da organizzazioni che si erano iscritte a qualche albo settoriale o territoriale e che hanno deciso di “fare il salto” al Registro unico che, pur con tutti i limiti e le lentezze elencate, si sta trasformando nell’“anagrafe” degli enti del Terzo settore che vale il 5% del Pil italiano e conta quasi 7 milioni di volontari (di cui 4,5 milioni assidui). Numeri a cui fa riferimento anche il direttore del Forum del Terzo settore, chiedendo al Governo un piano strategico che investa nel Terzo settore, che «oltre a prendersi cura dei cittadini e delle nostre comunità e dare un contributo importante nella costruzione della coesione sociale, è un soggetto economicamente rilevante che produce occupazione e benessere. E, dunque, merita di essere sostenuto» proprio perché porta ricchezza, in tutti i sensi.
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