Le parole del ministro del Tesoro Roberto Gualtieri – riportate qualche giorno fa da Vita – testimoniano che un cambiamento importante nel riconoscimento e nella promozione del Terzo settore, sta lentamente maturando nelle scelte politiche che il Paese dovrà compiere nei prossimi mesi. Così, i quattro anni dalla approvazione della legge delega al Governo (l.106 del 6 giugno 2016) per “la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale”, non sembrano essere trascorsi invano. “Per ripartire – afferma Gualtieri – abbiamo bisogno di un patto rifondante e generativo tra pubblico, privato e terzo settore, tra forze sociali e forze produttive”. Ecco la novità: nel patto c’è anche il Terzo settore. Lo sviluppo e la coesione sociale si reggono non solo sullo stato e sul mercato, ma anche sul Terzo settore. Era questa l’ispirazione originaria della riforma che trovava un fondamento nell’art.118 della Costituzione. Ovvero, che lo stato nelle sue diverse articolazioni ha il compito di “favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse generale, secondo il principio di sussidiarietà”.
Ebbene questo compito di “favorire”, come si è concretamente esplicato in questi quattro anni? Perché non bastano le norme, servono delle politiche. E quelle conseguenti alla riforma, presentano luci ed ombre. Inoltre, al di là dei non pochi ritardi nella emanazione delle norme di attuazione, ci sono altresì alcuni segnali che contraddicono quel passaggio di ordine culturale ben sintetizzato nelle parole del ministro Gualtieri. Lo si è constatato anche in questa crisi: nei diversi decreti emergenziali, il terzo settore è stato a volte riconosciuto, a volte dimenticato, in altre evocato in modo confuso. Il pericolo denunciato da De Rita di una statalizzazione dei flussi della beneficienza privata insieme alla controversa vicenda degli “assistenti civici”, dicono che persiste a tratti una concezione residuale del terzo settore, ridotto o a soggetto caritatevole o a mero fornitore delle amministrazioni pubbliche. Di qui la necessità di mantenere alta la guardia nei confronti di questi pericoli, rafforzando proprio l’iniziativa culturale e politica, la mobilitazione educativa e il coinvolgimento delle generazioni più giovani. Cosa resta da fare perché quell’ambizioso disegno contenuto nella legge 106/2016 e nei successivi decreti delegati, possa compiersi pienamente? Non si tratta solo di portare rapidamente a termine atti amministrativi necessari, ma altresì di operare alcune scelte urgenti. E il Ricovery plan può rappresentare il tempo e il luogo dove maturarle.
Innanzitutto non può più tardare l’introduzione del Registro unico degli enti di terzo settore. L’incertezza e la difformità con cui è stato identificato il terzo settore nei diversi provvedimenti emergenziali, è dovuta non solo ad alcune spinte corporative, ma proprio alla mancata adozione del RUNTS. L’avvio del Registro è condizione imprescindibile per avere certezza nel riconoscimento dei soggetti di terzo settore quali destinatari e protagonisti di politiche pubbliche.
Secondo, nel “Dl Rilancio” si è fatta una scelta importante: dimezzare i tempi di erogazione del 5 per mille, assegnando entro quest’anno, anche le risorse dovute per il 2019. Questo obiettivo, – previsto in uno dei decreti legislativi, – era rimasto finora incompiuto. Ma c’è una sfida più impegnativa: raggiungere e convincere quei 14,5 milioni di contribuenti italiani che non si avvalgono della facoltà di destinare una quota delle loro tasse – il 5 per mille – ad un ente del terzo settore. Cosa aspetta la RAI, servizio pubblico, ad avviare una campagna promozionale?
Il ministro Gualtieri- sempre nello stesso intervento – ha anche preso un impegno preciso: accrescere le risorse per il Servizio civile universale. E’ una scelta senza la quale quel “universale”- introdotto dalla riforma – resta un proclama retorico. Servono almeno 100 milioni in più, una drastica semplificazione delle procedure e anche una novità: introdurre dal prossimo anno scolastico un’alternanza scuola/servizio civile. Un mese di formazione all’impegno civico e al servizio volontario per la grande maggioranza dei giovani che frequentano le scuole secondarie e la formazione professionale.
Ancora: da più parti si è detto che la rinascita economica del Paese deve essere digital, green e social. E, quale soggetto più adeguato dell’impresa sociale per una crescita innovativa, sostenibile e inclusiva? Per cui, nell’emanando decreto “semplificazioni”, si cancelli la necessità di ricorrere ad un’autorizzazione della Commissione europea per introdurre subito le norme fiscali (deduzione del 30% del capitale investito e azzeramento delle tasse per gli utili interamente reinvestiti) che sostengono la nascita e il rafforzamento delle imprese sociali.
Infine cosa attende il Ministero del Lavoro a varare il portale del “social bonus”? Ci sono innumerevoli immobili pubblici inutilizzati o requisiti ai poteri malavitosi che potrebbero essere ristrutturati e destinati ad opere sociali, educative o assistenziali. La imponente defiscalizzazione delle risorse raccolte per questi interventi (pari al 65%) ,insieme con l’avvio dei Titoli di solidarietà potrebbero creare le condizioni per una stagione di rifioritura di molte strutture abbandonate per farle diventare “case della solidarietà e dell’inclusione”. In sintesi: la riforma può essere un vettore per aprire le porte ad una stagione dove possiamo diventare più inclusivi e più creativi.
Questo articolo è comparso originariamente su: Vita.