Le tre vie per garantire un’effettiva equità generazionale

La pandemia, oltre alle tante persone che sono rimaste contagiate e a coloro che hanno perso la vita, ha colpito duro anche sul lavoro: quasi 450.000 persone occupate in meno. E ha colpito in modo selettivo. A farne le spese sono stati i giovani, il 30% dei quali sono inoccupati; coloro che avevano un contratto di lavoro a tempo determinato, lavoratori autonomi e le donne.

Ora il Governo, dopo aver parzialmente rimosso il blocco dei licenziamenti – oltre ad affrontare le crisi di non poche aziende, alcune delle quali hanno mandato a casa i propri collaboratori con una semplice mail -, sta cercando di mettere in campo ulteriori strumenti di sostegno per i settori maggiormente colpiti dalla crisi Covid, ma altresì di delineare nuove strade per facilitare un ricollocamento dei lavoratori stessi, come il “Fondo per il potenziamento delle competenze e la riqualificazione professionale”, previsto dal decreto legge dello scorso 30 giugno con una dotazione di 50 milioni.

Ma qualcosa di più della strategia del Governo lo si può evincere da alcune scelte di investimento contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che ha avuto il via libera anche dalla Commissione UE. Se si vuole che gli investimenti indicati nel PNRR risultino efficaci, occorre seguire una stella polare: dare una priorità assoluta ai giovani sia per rendere accessibili a tutti una buona istruzione e un bagaglio di competenze spendibili, sia per cercare di svuotare l’enorme cisterna dei Neet, i giovani che né studiano, né lavorano. Le coordinate astronomiche per non smarrire questa stella polare in parte le ritroviamo nel PNRR. Altre vanno ancora meglio individuate. Ne indico tre: sviluppare il sistema  di formazione duale, investire sul servizio civile e rivedere gli strumenti di inserimento al lavoro per i giovani.

Innanzitutto, sviluppare il sistema duale della formazione. Nato con il Job Act nel 2015, è incentrato  essenzialmente su due strumenti: apprendistato formativo e istruzione tecnica superiore (ITS). Queste due nuove modalità di formazione hanno consentito sia di abbattere il tasso di abbandono scolastico nel conseguimento della licenza dell’obbligo e dei titoli secondari oggi superiore al 16%; sia di ridurre il forte mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Unioncamere ci dice infatti che, nonostante l’alto tasso di disoccupazione giovanile, le imprese hanno difficoltà a reperire operai specializzati, tecnici, professionisti e artigiani sia per carenza di candidati che per mancanza delle competenze necessarie.

Nel PNRR sono state inserite due diverse voci relative al sistema duale di formazione: 600 milioni per l’apprendistato formativo e 1,5 miliardi di euro per l’istruzione tecnica superiore. In tal modo, il numero dei giovani coinvolti nel sistema duale nei due rami specificati potrebbe triplicare, passando dagli attuali 30.000 circa a quasi 90.000. Ma secondo Forma – la principale rete delle agenzie di formazione professionale – serve un ulteriore investimento di circa di quattro miliardi per raggiungere 160.000 giovani disoccupati senza un titolo di studio secondario (si tratta di coloro che hanno abbandonato precocemente gli studi) in modo da farli accedere, in apprendistato formativo, all’ultimo anno dei percorsi triennali di IeFP (Istruzione e Formazione Professionale) per il conseguimento della qualifica o del diploma professionale. E di coinvolgere, circa 400.000 Neet con diploma di scuola secondaria, da inserire, in apprendistato duale di terzo livello, finalizzato al conseguimento di un diploma ITS o di una laurea.

Una seconda via a cui il PNRR ha attributo 650 milioni per il prossimo quinquennio, è il Servizio civile. La legge di bilancio 2021 aveva già disposto di portare a 300 milioni lo stanziamento, in modo da poter  avviare  ogni anno circa 55.000 volontari in servizio civile. Un buon segnale ma insufficiente per accogliere tutte le domande di coloro che vorrebbero fare questa esperienza, che sono 80/100.000 ogni anno.

L’ulteriore incremento disposto con il PNRR accresce i posti per i volontari, senza per questo conseguire quella qualifica di “universale” che la riforma del Terzo settore ha introdotto per il servizio civile, prima denominato “nazionale”. Tale scelta è coerente con il fatto che il Servizio civile si è rivelato uno strumento utile per far crescere una cultura della solidarietà, ma altresì un modo per consentire a diverse decine di migliaia di giovani di fare un’ esperienza utile a maturare competenze spendibili per il successivo inserimento professionale.

Diverse ricerche infatti ci dicono che la possibilità di trovare un’ occupazione e la durata della transizione scuola/lavoro sono significativamente migliori per i giovani che hanno fatto servizio civile rispetto alla generalità della popolazione giovanile. E per diffondere la cultura del volontariato e dell’impegno civico si potrebbe altresì sperimentare un’ alternanza scuola/servizio civile per tutti i giovani tra i 16-18 anni che frequentano una scuola secondaria o la formazione professionale. Due strade complementari che richiederebbero complessivamente più di un miliardo di nuove risorse.

Infine, occorre mettere mano rapidamente alla revisione degli strumenti di inserimento al lavoro dei giovani: tirocinio e apprendistato. La prospettiva è quella di avere l’apprendistato come unico e vero contratto di formazione e lavoro. Tale obiettivo passa attraverso una riforma della normativa sia dei tirocini che dell’apprendistato. Circa i tirocini si potrebbe seguire la via francese, riducendo drasticamente la possibilità di attivare tirocini extracurricolari e legando la durata degli stessi al tipo di mansione che si andrà a svolgere.

Questa revisione, riducendo il numero dei tirocini, favorirebbe la crescita dell’apprendistato formativo come contratto finalizzato ad ottenere, anche lavorando, un titolo secondario o terziario. Oggi l’apprendistato, articolato su tre livelli, è troppo macchinoso per poter essere facilmente utilizzato dalle imprese che, in molti casi, anche per il minor costo e i minori vincoli, si affidano ai tirocini. Inoltre, quello più scelto dalle imprese – l’apprendistato di secondo livello o professionalizzante – non è un vero contratto formativo, in quanto la formazione è ridotta  ad un minimo di 40 ore per un triennio e non dà luogo al conseguimento di un titolo di studio.

Naturalmente anche qui serve un investimento di risorse per sostenere sia i costi per i tutor aziendali, sia per introdurre – nelle scuole e nelle agenzie formative – la figura professionale del tutor per l’orientamento e l’inserimento al lavoro. Solo così avremo un apprendistato di profilo europeo, in quanto quello denominato in Italia come professionalizzante o di mestiere, non ha quella qualificazione formativa richiesta in ambito UE e andrebbe sostituito con un contratto di inserimento lavorativo.

Queste tre vie – rafforzamento del sistema duale di istruzione, sostanziale revisione della normativa su tirocinio e apprendistato e realizzazione di un servizio civile veramente universale – darebbero forma ad un investimento sui giovani tale da assicurare una effettiva garanzia di equità generazionale. Non si può infatti dimenticare che i 2/3 della dotazione finanziaria di Next Generation Eu, deliberate in via straordinaria dalla UE, l’Italia dovrà restituirle entro il 2058. Dunque, come Paese e come generazione di adulti e anziani, stiamo impegnando ingenti risorse che i nostri figli e nipoti avranno l’onere di restituire. Solo così il PNRR sarà veramente un  programma da Next Generation Italia.

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