Non c’è Terzo Settore senza diritto del Terzo Settore

Il Codice del terzo settore “segna … una rivoluzione, un cambiamento di paradigma, tra pubblici poteri e società civile, che si spinge ben oltre il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, della Costituzione”: questo è l’autorevole commento formulato all’indomani dell’approvazione del d.lgs. 117/2017 dal prof. Marcello Clarich e dal medesimo studioso ribadito nel corso del suo intervento all’odierno seminario1.

Ritengo tuttavia che, allo stesso tempo, affinché – volendo continuare ad usare le parole di Clarich – la “svolta epocale consacrata dal Codice2 possa realizzarsi, è necessario che le sue norme siano interpretate ed applicate in conformità agli obiettivi e ai principi della nuova legislazione, espressi negli articoli 1 e 2 del Codice.

In breve, il Codice è solo un punto di partenza, e non è di per sé sufficiente a tutelare e promuovere gli enti del terzo settore. Oltre alla legislazione, serve infatti una teoria giuridica che consenta di “creare” un vero e proprio, autonomo diritto “vivente” del terzo settore, di pari dignità rispetto al diritto materiale avente ad oggetto altre tipologie di enti giuridici. 

L’operazione non è di agevole realizzazione. Ma proprio per questo è stato costituito – grazie all’intuizione, alla tenacia e alla passione di Luigi Bobba ed al generoso ed attivo contributo di diversi enti e reti associative del terzo settore – l’Osservatorio Terzjus.

Grazie all’autorevolezza e alla multidisciplinarietà del Comitato Scientifico di Terzjus potrà affermarsi una cultura giuridica del terzo settore capace di condurre all’elaborazione di un diritto del terzo settore che non sia “terzo” ad altri diritti nel senso deteriore del termine, cioè marginale, sussidiario, residuale, ma “terzo” nel senso di “differente”, “autonomo”, fondato su proprie solide basi teoriche.

Il tema che oggi ci occupa – quello dei rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore – è di estrema attualità ed importanza, e costituisce un formidabile banco di prova di tutto quanto ho sin qui sostenuto:

  1. vi sono infatti nel Codice numerosi articoli “forti”, tra cui gli articoli 55-57, che hanno peraltro un passato importante (poiché misure analoghe erano già previste, ancorché non puntualmente disciplinate, nella leggi 266/1991 e 383/2000, e sono ancora oggi contemplate nella legge 328/2000 e nel d.p.c.m. 30 marzo 2001);
  2. ma esiste e circola una loro interpretazione “debole” che rischia di annullarne la portata “rivoluzionaria”3;
  3. questa interpretazione “debole” ha già avuto seguito nella giurisprudenza; può essere sufficiente menzionare qui la sentenza del Tar Toscana 1 giugno 2020, n. 666, che sulla base di una nozione di “gratuità” molto restrittiva, e non allineata a quella “europea” della Corte di Giustizia – come hanno ben sottolineato nei loro interventi quasi tutti i relatori, tra cui in particolare i professori Massimo Luciani e Fabio Giglioni (che l’ha a tal proposito definita “più realista del re”) – rischia di sterilizzare, di fatto, l’art. 56 del Codice, rendendolo inutile4;
  4. si tratta di un’interpretazione conforme, piuttosto che a quelli del Codice, ai principi e ai valori di altri atti normativi (alludo ovviamente al Codice dei contratti pubblici), ai quali, pur avendo la stessa “forza” sul piano delle fonti del diritto, viene aprioristicamente ed apoditticamente attribuito da alcuni interpreti degli articoli 55 e 56 un “valore” superiore rispetto al Codice del terzo settore;
  5. da qui la necessità “urgente” (lo sottolineo) di un pensiero “alternativo”, “positivamente” fondato su solide basi argomentative e capace di influenzare la prassi interpretativa (dei giudici) e la prassi operativa della pubbliche amministrazioni: diversi sono infatti gli amministratori pubblici che, pur desiderandolo intimamente, non hanno più il coraggio di applicare l’art. 56, così come l’art. 55, a causa dell’incertezza interpretativa che circonda questi articoli; al contrario, l’art. 57, sul trasporto sanitario di emergenza e urgenza, è norma applicata dalle amministrazioni competenti poiché meno contestata; il che conferma l’importanza della certezza giuridica per la prassi operativa quotidiana;
  6. nel nostro specifico caso, ciò significa che il Codice del terzo settore ha e deve possedere la medesima dignità del Codice dei contratti pubblici, anche in rapporto alle fonti euro-unitarie (con cui in ogni caso bisogna fare i conti);
  7. occorre dunque lavorare affinché si affermi un’interpretazione per la quale gli articoli 55 e 56 del Codice non costituiscono una deroga illegittima al Codice dei contratti pubblici (cui devono ritenersi subordinati), ma applicano, essi stessi, il diritto euro-unitario con particolare riguardo a determinati rapporti della pubblica amministrazione;
  8. in questa direzione, sono di grande conforto le parole pronunciate oggi dal prof. Massimo Luciani, secondo cui, se si dimostra che gli articoli 55 e 56 del Codice costituiscono applicazione del diritto dell’Unione europea, ovvero se queste norme si interpretano ed applicano in conformità al diritto euro-unitario degli appalti pubblici, allora questi articoli finirebbero inevitabilmente per sottrarsi ad ogni giudizio di illegittimità e ad acquisire la medesima dignità delle disposizioni del Codice del terzo settore5

In conclusione

Vorrei dunque concludere questo mio breve intervento sottolineando quanto segue:

  • non c’è, a mio avviso, terzo settore senza diritto del terzo settore: il successo del primo dipende inevitabilmente dall’affermarsi del secondo: mi auguro che su questo punto nessuno abbia più in futuro a dubitare, soprattutto dopo che la legislazione emergenziale dell’era COVID ha dimostrato quanto sia stato importante avere creato un insieme normativo unitario – il “terzo settore” appunto – facilmente richiamabile in atti normativi generali;
  • ma non ci si può fermare qui: bisogna infatti agire anche a livello europeo, perché la cultura euro-unitaria paradossalmente appare più aperta a riconoscere le specificità del diritto del terzo settore di quanto non lo sia quella nostrana (le sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue sull’art. 57 sono fondamentali per edificare la teoria giuridica dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e terzo settore, anche oltre la specifica materia dei trasporti sanitari di emergenza e urgenza);
  • occorre un approccio autorevole e multidisciplinare, anzi, ancor più precisamente, interdisciplinare: per fare un esempio, solo sul tema specifico che ha interessato il seminario odierno, si sono confrontate tra loro le prospettive del diritto amministrativo (da cui hanno preso le mosse gli interventi di Luciano Gallo, Alessandro Lombardi, Marcello Clarich, Fabio Giglioni e Gianluca Budano), del diritto privato (si è evocata come utile a fini interpretativi ed applicativi, in particolare da Alessandro Lombardi e Luca Gori, la distinzione civilistica tra contratti con causa di scambio e contratti con comunione di scopo), del diritto costituzionale (su cui si sono soffermati i professori Gregorio Arena e Massimo Luciani), nonché del diritto dell’Unione europea, della concorrenza e degli aiuti di stato, e del diritto tributario (oggetto dell’intervento di Gabriele Sepio);
  • occorre che vi sia promozione del diritto del terzo settore da parte del terzo settore stesso (il “mercato” non basta infatti a produrre sufficiente riflessione giuridica in materia), nonché collaborazione/interazione tra operatori del terzo settore e studiosi del diritto del terzo settore, come ha opportunamente sottolineato Felice Scalvini nel corso del suo intervento odierno;
  • occorre valorizzare gli istituti giuridici della sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 4, della Costituzione, di cui Gregorio Arena, nella sua chiara relazione di oggi, ha offerto una suggestiva interpretazione che possiamo riassumere nella formula della “sussidiarietà circolare” (piuttosto che solo “orizzontale”), in cui gli enti del terzo settore figurano non soltanto come “destinatari” delle misure di favor costituzionale, ma anche come “attori” tenuti a sostenere i cittadini “attivi” che intendano spontaneamente impegnarsi in attività di interesse generale;
  • occorre sostenere il pluralismo non solo organizzativo e di mercato (opportunamente il prof. Luciani ha sottolineato come – “per evitare il rischio di unilateralità, di leggere tutto il mondo dalla sola prospettiva del terzo settore” – gli enti del terzo settore devono essere inseriti in una cornice più ampia nella quale figurano attori con diverse caratteristiche), ma anche delle fonti normative, poiché l’agire delle pubbliche amministrazioni non deve sempre e solo ricondursi ai contratti pubblici e al relativo Codice, ma – come sia Alessandro Lombardi sia Fabio Giglioni hanno sottolineato – comprende anche la legge 241/1990 (richiamata proprio nell’art. 55) e la figura degli “accordi delle pubbliche amministrazioni”6
  • occorre essere fiduciosi, sapere non soltanto “difendersi” da teorie “negative” o “restrittive”, ma saper anche valorizzare le buone prassi esistenti nei rapporti tra pubbliche amministrazioni e terzo settore, affinché da esse possa cominciare ad edificarsi una teoria “nuova” ed autonoma dei rapporti tra pubblico e terzo settore, come ha oggi ben sottolineato l’avv. Luciano Gallo nella sua vivace e puntuale relazione; a tal riguardo, buone prassi possono emergere anche dalla legislazione regionale in materia di rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore, che ha costituito il focus dell’intervento di Luca Gori;
  • occorre, in chiave ancora più generale, promuovere l’idea per cui, accanto al diritto degli uomini “cattivi”, c’è il diritto degli uomini “buoni”, e che lo Stato deve occuparsi sia dell’uno che dell’altro; sempre il prof. Clarich, in un altro suo recente scritto, ha sottolineato come l’originaria disciplina dei contratti pubblici (a suo tempo contenuta nel regolamento sulla contabilità dello stato del 1923/1924) fosse diretta da un lato ad ottenere condizioni economiche più favorevoli all’amministrazione, mettendo in concorrenza le imprese, dall’altro lato a proteggere l’amministrazione dal rischio di collusione tra queste ultime7. La disciplina contabilistica dei contratti pubblici era chiaramente ispirata dal “bad man”. La disciplina del Codice del terzo settore ha un’altra ispirazione: fornire strumenti di promozione delle virtù dell’“uomo buono”. Queste due “anime” del diritto devono necessariamente convivere;
  • in conclusione, il seminario di oggi ha indubbiamente “gettato le basi” per l’edificazione “in positivo” del diritto “vivente” del terzo settore e di un’autonoma teoria giuridica in materia, ma da tutto quanto precede, appaiono evidenti altresì le “sfide” che Terzjus dovrà da subito (e per diverso tempo) affrontare sotto la sapiente guida del suo Consiglio di Amministrazione e del suo Presidente Luigi Bobba.
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[1]

Così CLARICH e BOSCHETTI, Il Codice Terzo Settore: un nuovo paradigma?, in JusOnline 3/2018, p. 29, disponibile qui: https://jus.vitaepensiero.it/news-papers-il-codice-terzo-settore-un-nuovo-paradigma-5028.html

[2]

Così ancora CLARICH e BOSCHETTI, Il Codice Terzo Settore: un nuovo paradigma?, cit.

[3]

Faccio ovviamente riferimento a quella propugnata dal Consiglio di Stato nel noto parere n. 2052 del 20 agosto 2018, reso in sede consultiva su richiesta dell’ANAC (in vista dell’aggiornamento della delibera n. 32/2016, recante “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali”).

[4]

Cfr. La sentenza è disponibile qui: https://urly.it/36rfc.

[5]

In questo senso – come ha ben colto il prof. Luciani – si può valorizzare il passaggio del parere n. 2052 del Consiglio di Stato dove si afferma: “***”.

[6]

Su cui i relatori al Convegno hanno segnalato il recente volume di GIGLIONI e NERVI, Gli accordi delle pubbliche amministrazioni, Napoli, ESI, 2019.

[7]

Così CLARICH, La disciplina dei contratti pubblici tra persistenze e spinte all’innovazione, in Luiss Law Review, 2/2019, 6 ss.

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